La rinascita di Vittorio, che ha lasciato il crack per riscrivere il proprio destino: «La droga ti ruba tutto. E io ho capito che potevo avere un’altra vita»
È una casa tormentata dai fantasmi, quella di cui scrive Vittorio Cammerucci. Una villa di due piani infestata dallo spirito di una bambina abbandonata dai genitori, che non trova sollievo e non riesce a riposare. Fino a quando due ragazzi, incuriositi dalle voci sulla casa spettrale, non hanno trovato il modo di mettersi in comunicazione con lei e di restituirle la pace.
Assomiglia un po’ alla sua, di storia. Lo fa notare lo psicologo del Centro Crisi Molo 18 del Gruppo Abele, dove Vittorio sta completando il suo percorso di recupero, dopo anni di tossicodipendenza che hanno deteriorato via via la sua vita, impedendogli di trovare serenità. Oggi Vittorio riesce a guardarsi indietro senza timore di scivolare di nuovo nel suo passato. Il suo racconto è confluito in un’antologia di racconti, Il destino non è un finale già scritto, che nasce dal laboratorio di scrittura noir che la scrittrice Sara Bilotti ha condotto con i ragazzi in percorso di recupero da tossicodipendenze, e che fa parte del Dora Nera, il festival di cultura noir organizzato a Torino dall’associazione culturale Babelica (qui il programma di queste giornate).
È da quando è bambino che Vittorio ama leggere. All’inizio erano le avventure di Geronimo Stilton, poi è arrivato Lovecraft, con l’attrazione per tutto ciò che è mistero, cabala, esoterismo. E non solo leggere: gli piace anche scrivere. Alle medie, al liceo, all’università non ha mai smesso di tenere un diario. Un filo che non ha mai tagliato nemmeno quando tutto il resto andava in frantumi.
Nato e cresciuto a Torino, studia Amministrazione aziendale e marketing, poi Arti visive e promozione pubblicitaria. E intanto lavora: fa il fattorino, poi il cassiere, poi il barista nei locali, e si specializza nel bartending.
Ma le sostanze stupefacenti entrano presto nella sua vita. «Già a quattordici anni prendevo droghe pesanti nel weekend», racconta. «Ma avevo ancora tutto il resto: la palestra, la scuola, il lavoro». In discoteca, «evadeva» con Mdma, ketamina, cocaina, ma il resto della settimana sembrava funzionare.
A vent’anni spinge sull’acceleratore, soprattutto dopo un periodo di lavoro a Ibiza. E inizia a saltare lezioni all’Università, a perdere pezzi. Però le droghe lo appagano, gli piacciono terribilmente. «Con l’ecstasy anche i rapporti con le ragazze diventavano più semplici e più soddisfacenti: ne prendevo quantità enormi quando andavo a ballare, e il corpo sembrava muoversi da solo: era strabiliante e avevo un gruppo numeroso di amici». Lavorare nei locali notturni gli rende anche più facile accedere alle droghe e all’alcol.
Poi arriva il crack, e la situazione precipita. Viene allontanato e isolato anche dagli amici di sempre: «Nemmeno a chi fa abitualmente uso di droghe piace avere a che fare con chi consuma crack. Chi lo usa sparisce per giorni. Il crack ti cancella». In un mese, Vittorio arriva a consumarne per quattromila euro. È una sostanza estremamente pericolosa, può portare all’alienazione, a una forte aggressività o a stati paranoici, deliri e allucinazioni.
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