Trentino Alto Adige/Suedtirol

La Repubblica di via Resia Tra le famiglie accampate nell’ex lager nazista  – Bolzano



Guido Trivelli è stato un grande giornalista follemente innamorato della sua città, Bolzano, che ha raccontato in anni difficili, ma anche entusiasmanti, ricchi di notizie da inseguire e raccontare sulla carta. Per decenni (dal 1945 al 1986, quando lasciò il giornale per fondare, insieme a Rolando Boesso, VB 33), è stato un pilastro del nostro giornale. Ne è stato anche direttore e condirettore. Oggi – per la rubrica “Mi ritorni in mente – ripubblichiamo un suo pezzo del marzo 1955. Un’istantanea che cristallizza le condizioni di vita nell’ex campo di concentramento di via Resia, diventato, nell’immediato dopoguerra, un rifugio per decine di famiglie poverissime, che non riuscivano a pagarsi un affitto o a ottenere un alloggio popolare. In questo pezzo c’è l’essenza del nostro mestiere: testimoniare, farsi carico delle fasce deboli della società, sollevare un problema, pungolare le istituzioni perché lo risolvano. Lo ripubblichiamo, perché, chi è nato dopo, chi non ha la più pallida idea delle difficoltà e dei pregiudizi che hanno affrontato le generazioni che ci hanno preceduto nelle stesse strade che abitiamo oggi, possa fermarsi un istante, leggere e recuperare memoria, sapere da dove veniamo. Ultima considerazione: cambiano gli strumenti, ma l’ABC del giornalismo è sempre quello: andare, vedere, raccontare. E non smettere mai di essere curiosi. Guido Trivelli lo è stato fino all’ultimo giorno della sua lunga vita. LF

 

Bolzano. Se parliamo di una repubblica, non meravigliatevi. Si tratta di una repubblica immaginaria e comunque lillipuziana. Ma quale altro nome potrebbe essere dato a quell’assembramento di capanne, piccole costruzioni in muratura, baracche, che si stende nell’area dell’ex campo di concentramento, al centro e ai lati dei due capannoni che durante la guerra servivano per tenere imprigionati centinaia di civili?

È difficile, vedete, classificare in altro modo quella cittadella, dove vigono stranissime leggi e dove la vita si svolge quasi distaccata da quella che caratterizza il nucleo cittadino.

La storia della “Repubblica di via Resia” è storia recente. Le sue origini affondano nel periodo dell’immediato dopo guerra, quando la carenza assoluta di alloggi, si affiancava per molti, alla necessità di non farsi troppo notare. I capannoni dell’ex campo di concentramento, tornarono così a rivivere e rappresentarono un comodo e tranquillo rifugio. Intanto, giunsero coloro che veramente avevano bisogno di una casa e che erano sprovvisti, o quasi, di mezzi finanziari. E le celle si trasformarono in stanze da letto, in cucine, nei locali per usi diversi. E dalle inferriate che chiudono le piccole finestre, uscirono neri tubi da stufa. Si riempirono presto i capannoni, anche perché, nel frattempo, uno di essi era stato trasformato in teatro: una parentesi lieta tra tanto squallore.

Nessuno o pochissimi, si occupò dell’area dell’ex campo di concentramento: neanche lo Stato che ne è praticamente proprietario. E ai primi arrivi se ne aggiunsero altri. E sorsero così le prime baracche in legno, e poi minuscole costruzioni in muratura. D’altronde nessuno, allora, pagava l’affitto (oggi l’affitto si paga ma in misura ultra modesta: 150, 200,300 lire al mese).

Le baracche intanto si moltiplicavano; era possibile che, a distanza di ventiquattro ore, ve ne fosse una di più. Poi il teatro sparì e altre famiglie giunsero; e giunse anche una scuola: quella per apprendisti. Ora nella “Repubblica di via Resia” vivono circa settanta famiglie; quasi trecento persone. È una popolazione che sfugge ad un preciso controllo. Vi sono coloro che effettivamente hanno bisogno e coloro che, per ragioni diverse, si accontentano e non protestano. Vi è chi vive in condizioni di estremo disagio (quattro e cinque persone in una stanza di tre o quattro metri quadrati) e chi, al mobiletto della radio, affianca la motocicletta. Uno o due persone hanno la “Topolino”.

Ma, in linea di massima, la situazione di quegli abitanti non è assolutamente confortante.

Esiste la luce elettrica, ma l’acqua, in generale, viene attinta ad un’unica fonte. E le condizioni igieniche (una fognatura, o più semplicemente un canale di sfogo, non esiste) sono facilmente intuibili. Ma vi è un altro motivo per cui la definizione di “piccola repubblica” non appare azzardata. Il terreno e gli stessi capannoni, come detto, sono di proprietà dello Stato. Un controllo vero e proprio, quindi, non esiste: chi va e chi viene, chi si ferma qualche mese, e chi vi si stabilisce per anni.




D’altronde, per essere quel territorio del tutto simile ad una proprietà privata, non può essere sottoposto a quelle misure che sono comuni all’agglomerato cittadino. L’ingresso alle pattuglie di polizia o di carabinieri è impedito, a meno che non siano espressamente chiamati; altrimenti sarebbe un violare, senza i crismi della regolarità, una proprietà privata: entrare insomma, senza permesso, in casa di altri. E lo stesso discorso vale per i vigili urbani.

Il resto è facilmente intuibile. Può verificarsi il caso (e si sono verificati) di vendite del tutto abusive. Una famiglia che se ne va, cede per esempio al prezzo di 100 mila lire, i locali, chiamiamoli così, che aveva ricavato in uno dei capannoni di proprietà dello Stato. Oppure cede, per lo stesso prezzo, la baracchetta in legno che aveva abusivamente costruito su un terreno anch’esso di proprietà dello Stato. Intervenire è difficile se non impossibile. Una situazione che rasenta il paradosso; una situazione che, in definitiva, non fa onore a nessuno. Vi è un solo rimedio. Effettuare una serena classificazione dei bisogni di ognuno e provvedere tempestivamente. Chi possiede la “Topolino”, può, certo, sistemarsi decentemente anche altrove. Chi invece, e sono la maggioranza, ha appena il necessario per tirare avanti, deve essere aiutato. E questo aiuto si identifica in un vecchio slogan, che mai ci stancheremo di ripetere: un alloggio vero a un prezzo sopportabile. Altrimenti parleremo chissà per quanto tempo ancora, della piccola “Repubblica di via Resia”.




Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »