Veneto

La rapina è sempre reato grave? La Corte Costituzionale si pronuncia sulla lieve entità di certe rapine

La recente cronaca cittadina riporta frequentemente episodi di rapine, spesso borseggi in danno di persone isolate, magari anziane. Di pochi giorni or sono è il caso di una donna sessantenne brutalmente aggredita e derubata della borsa a Mestre mentre rincasava; un uomo in bicicletta l’ha spinta con violenza a terra, facendola cadere sull’asfalto e, non contento, ha infierito nuovamente per strapparle la borsa, lasciandola ferita e sotto choc, come prontamente riferito dalla cronaca de La Voce di Venezia.

L’allarme sociale che ne consegue è indubbiamente grave, poiché il ripetersi di simili episodi di rapina, ormai anche in pieno centro ed in ore diurne, genera insicurezza ed avversione verso le istituzioni chiamate a garantire la sicurezza; è altrettanto grave la reazione che il nostro ordinamento giuridico pone in essere (sempre che il malvivente venga acciuffato)?

L’articolo 628 del codice penale punisce la rapina disponendo che: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.

Stabilisce poi che in alcuni casi più gravi la pena sia quella della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000.

La pena sembra quindi dura, ma … nel nostro ordinamento vi sono molti “ma…”.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 86 del 2024 ha esaminato il caso di due persone che avevano prelevato dagli scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari di modesto valore e riuscivano a sottrarsi all’intervento del personale dell’esercizio commerciale mediante qualche generica frase di minaccia e una spinta, per essere infine rintracciati nei pressi dell’esercizio stesso mentre consumavano del pane. Si tratta di un caso di cosiddetta “rapina impropria”, ossia una minaccia e violenza poste in essere per garantirsi l’impunità rispetto al furto commesso.

La pena prevista dalla legge prevede un minimo di 5 anni di reclusione, come abbiamo riportato sopra, ma alla volontà della legge si è sovrapposta l’interpretazione che ne hanno dato i Giudici della Corte Costituzionale.

Con riferimento al fatto sopra riportato la Corte ha, infatti, osservato che: “in simili fattispecie il minimo edittale di pena detentiva per la rapina, dal legislatore innalzato alla misura di cinque anni di reclusione, può costringere il giudice a irrogare una sanzione in concreto sproporzionata, sicché gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione esigono l’introduzione di una diminuente ad effetto comune, fino ad un terzo, quale “valvola di sicurezza” per i fatti di lieve entità”.

In altre parole, la Corte ha ritenuto che la pena minima di 5 anni di reclusione, stabilita dal Parlamento, fosse troppo elevata per i rapinatori e, quindi, i Giudici che li dovranno giudicare potranno diminuire la pena fino ad 1/3 qualora ritengano che il fatto costituisca sì una rapina, ma non sia di quelle particolarmente gravi.

In un suo comunicato, la Corte sottolinea che l’applicazione dell’attenuante della lieve entità del fatto “consegue sia al principio di uguaglianza, nel trattamento sanzionatorio della rapina e dell’estorsione, sia ai principi di individualizzazione e finalità rieducativa della pena, i quali ostano all’irrogazione di sanzioni sproporzionate rispetto alla gravità concreta del fatto di reato”.

La decisione della Corte Costituzionale ha ricadute pratiche molto importanti, poiché l’applicazione di questa attenuante, magari unita ad altre attenuanti e a scelte processuali che garantiscono ulteriori sconti, può consentire al condannato per questo tipo di rapina di non dover scontare alcuna pena in carcere.

In conclusione, la semplice lettura della norma va poi integrata con le pronunce dei Giudici, che possono portare a risultanti molto diversi dall’apparente severità che il codice penale trasmette a chi lo legge con semplicità.

Avv. Luca Azzano-Cantarutti     Avv. Giulia Azzano-Cantarutti


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