La procura di Torino aveva archiviato l’indagine sull’imam Shahin che Piantedosi vuole espellere
Una denuncia presto archiviata dai pm perché non c’era nessun reato. La Digos della Questura di Torino aveva trasmesso alla procura un’annotazione sulle frasi pronunciate durante una manifestazione pro-Palestina il 9 ottobre da Mohamed Shahin, imam della moschea di San Salvario che aveva affermato di non ritenere gli attacchi di Hamas una violenza. Nelle sue frasi, per le quali la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli ha di fatto chiesto e ottenuto dal ministro Matteo Piantedosi l’espulsione del religioso, la procura non ha trovato alcun elemento per ipotizzare una violazione del codice penale, neanche un’istigazione a delinquere. Era quindi stato aperto un fascicolo “modello 45” per “fatti non costituenti notizie di reato”, poi archiviato. E così, quando il Viminale ha chiesto all’autorità giudiziaria se ci fossero ragioni contrarie all’espulsione, come l’esistenza di importanti procedimenti a suo carico, l’autorità giudiziaria torinese ha risposto con un nulla osta. Non un’autorizzazione – precisano dagli uffici –, ma la risposta a una precisa domanda del ministero.
Shahin, egiziano di 46 anni, da oltre venti anni in Italia, si trova ancora rinchiuso nel Centro di permanenza per il rimpatrio a Caltanissetta, lontano centinaia di chilometri dalla moglie, una mediatrice culturale, dai due figli e dai suoi avvocati, Fairus Ahmed Jamas e Gianluca Vitale. Venerdì la Corte d’appello di Torino ha convalidato il suo trattenimento nel Cpr siciliano. Il giorno prima, nel corso dell’udienza, collegato in videoconferenza con la giudice Maria Cristina Pagano, Shahin aveva affermato: “Non sono un sostenitore di Hamas e non sono una persona che incita alla violenza”, aggiungendo di ritenere che “anche il popolo palestinese dovrebbe avere una propria sovranità”. Alla giudice, l’imam ha affermato che un rimpatrio in Egitto metterebbe a rischio la sua incolumità per via delle sue posizioni contrarie al regime di Abdel Fattah Al-Sisi e che alcuni parenti sono stati arrestati per questo motivo. Sempre nel corso dell’udienza, sono emersi due elementi che hanno portato il ministero a ritenerlo pericoloso per lo Stato italiano. In sostanza, a Shahin vengono contestati due contatti. Il primo è quello con Gabriele Ibrahim Delnevo, un 23enne genovese morto da foreign fighter in Siria. I due erano stati fermati nel marzo 2012 per un controllo occasionale a Imperia. L’imam ha spiegato di non aver conosciuto bene Delnevo. Il secondo riguarda invece Elmadhi Halili, un giovane condannato per aver propagandato materiali dell’Isis in lingua italiana. Alla base, ci sarebbe un’intercettazione messa agli atti dell’ultima inchiesta su Halili, una conversazione nella quale diceva a un suo contatto di andare alla moschea di via Saluzzo. Alla giudice, Shahin ha spiegato di averlo visto in alcune occasioni frequentare il centro di preghiera, nulla di più. Nessun coinvolgimento maggiore nelle attività dei due, ma dei contatti sporadici sono bastati al ministero per decretarne l’espulsione.
Venerdì, oltre al verdetto della Corte d’appello che conferma la permanenza nel Cpr, è arrivata anche quella della commissione territoriale della prefettura di Siracusa, che ha rigettato la domanda di protezione internazionale fatta lunedì, al momento del trattenimento di Shahin. Ora gli avvocati Vitale e Ahmed Jamas sono al lavoro per ricorrere contro tutte le decisioni prese finora dall’autorità contro Shahin: un ricorso in Cassazione contro il trattenimento, un ricorso al Tribunale civile di Siracusa contro il rigetto della domanda di protezione internazionale, uno al Tar del Piemonte contro l’annullamento del permesso di soggiorno e, infine, al Tar del Lazio contro il decreto firmato da Piantedosi in persona.
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