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La prima volta di Anisimova e Swiatek per il titolo sull’erba di Wimbledon

In una delle piccole librerie di Wimbledon, che nelle settimane del torneo espongono in bella vista pubblicazioni, stampe e memorabilia tennistiche, ho comprato un libriccino viola intitolato “The Little Book of Tennis. Smashing Quotes from the Greats of the Game”. A pagina 94 trovo questa citazione da una recente intervista di Venus Williams a Harper’s Bazaar: “Il tennis ti prepara a tutto ciò che dovrai affrontare nella vita: stress, mancanza di fiducia in te stessa, necessità di dare il massimo e obbligo di riprenderti dopo un fallimento”.

Avessi il numero di Aryna Sabalenka, le manderei un WhatsApp con le parole della sorella di Serena: anche questa sconfitta, le aggiungerei, t’insegnerà ad affrontare le vere sfide della vita. Ma la bielorussa di Minsk potrebbe non apprezzare, arrabbiata com’è per aver mancato, per la terza volta in quattro anni, l’ingresso alla finale dello slam britannico. Stavolta a fermarla a un passo dall’ingresso nella storia dei Championships – dopo Karolina Pliskova nel 2021 e Ons Jabeur due anni dopo – è l’americana Amanda Anisimova, tennis pulito e aggressivo da fondo campo, colpi piatti e anticipati, rovescio a due mani fluido e incisivo, precisione più che pura potenza. La ragazza nata a Freehold nel New Jersey non si fa intimidire e vince il primo set per 6-4, capitalizzando un doppio fallo nel momento chiave.

Nel secondo atto, Sabalenka smaltisce la tensione e risponde colpo su colpo, conquistando il 6-4 che riporta equilibrio. Il match viene interrotto due volte per emergenze mediche in tribuna, dovute al sole quasi caprese che riporta la temperatura oltre i 31 gradi, prima che il terzo set si trasformi in una battaglia di nervi: più concentrata dell’avversaria, Anisimova mette insieme tre break e va a chiudere con una splendida risposta incrociata (6-4).

L'abbraccio tra Anisimova e Sabalenka

L’abbraccio tra Anisimova e Sabalenka (afp)

La statunitense si guadagna così la prima finale slam della carriera. Se la merita sia per il buon gioco espresso oggi e nelle precedenti cinque partite, sia per la sua storia personale. Classe 2001, a metà del decennio scorso era una delle promesse più interessanti del tennis under 18 mondiale (ora li/le chiamano prospetti, dall’inglese “prospect” che significa letteralmente possibile talento futuro, ma a me suona male). Nel 2019 fu però travolta da un dramma personale: suo padre, che era anche il suo coach, morì improvvisamente per un infarto a 52 anni. Konstantin era immigrato in Florida dalla Russia con la moglie Olga. Amanda nacque quando ancora stavano cercando sicurezze e stabilità nel paese che avevano scelto. Cominciò ad allenarla prima ancora di iscriverla alla primary school, guidandola con equilibrio e passione, “senza pressioni eccessive ma con fermezza”, spiegò in un’intervista. Semifinalista al Roland Garros junior nel 2016, Amanda vinse gli Us Open junior nel 2017 e, due anni dopo, a 17 anni e dieci mesi, raggiunse addirittura le semifinali del Roland Garros dei “grandi”.

Amanda faticò a elaborare il lutto per la scomparsa del “pilastro della mia vita”, come definì il papà. Quando un giornalista le chiese se fosse pronta a parlare di quanto accaduto, scoppiò in lacrime: “Do we really have to talk about this?”, davvero vuoi che parli di questo? Smise di giocare e trovò un rifugio nell’affetto della famiglia, negli studi universitari e nella pittura, che è l’altra sua grande passione. Tornata nel circuito WTA nel 2020 con nuovi allenatori, non accelerò i tempi: ebbe nuovi momenti difficili e, nel 2023, si prese un’altra pausa. Lo ha ricordato oggi in conferenza stampa dopo il match: “Quando mi sono fermata la seconda volta, molti mi hanno detto che non sarei mai più arrivata al top se fossi rimasta a lungo lontana dal tennis. È stato un po’ difficile da digerire, perché io sapevo che sarei tornata e volevo ottenere ancora molto, e vincere uno slam un giorno”.

Nel febbraio scorso Amanda ha conquistato il primo titolo davvero importante della carriera a Doha, nel 1000 invernale, battendo Jelena Ostapenko (6-4 6-2). Sabato giocherà la finale a Wimbledon, per la quale dice di sentirsi “abbastanza preparata”. Spiega: “Prima di ogni partita mi ripeto di godermi ogni momento, di non concentrarmi troppo sul traguardo o sul risultato, di rimanere davvero nel presente. Quindi continuerò a ripetermelo. Anche oggi mi stavo dimenticando che c’era una finale in palio: avevo Aryna di fronte a me, ed ero concentrata soltanto su quello”.

Iga Swiatek

Iga Swiatek 

L’altra semifinale femminile, nella Centre Court surriscaldata, è una specie di one-woman-show di Iga Swiatek, 24 anni, testa di serie numero 8 del torneo, quattro vittorie a Parigi, una a New York, ma reduce da una crisi cominciata un anno fa e difficile da interpretare. La polacca lascia le briciole – appena due game (6-2 6-0) – a Belinda Bencic, 28 anni, mamma dall’anno scorso, mai arrivata tanto avanti nello slam sull’erba ma semifinalista a Flushing Meadows nel 2019. Una dimostrazione di superiorità impressionante da parte di Iga, che piazza vincenti da destra e da sinistra con una potenza che solo Sabalenka, al momento, può eguagliare. Anisimova non picchia così forte, ma oggi ha dimostrato che la potenza fine a se stessa talvolta non paga. Ci proverà anche con Swiatek, dunque. Per entrambe sarà la prima finale sull’erba di SW19.


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