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La pausa di Trump, il rimbalzo delle borse e l’attacco alla Cina: cosa succede alla guerra dei dazi


La pausa di Trump, il rimbalzo delle borse e l'attacco alla Cina: cosa succede alla guerra dei dazi

Dopo giorni di tensioni sui mercati e crescenti timori di recessione, Donald Trump ha improvvisamente premuto il freno sulla sua offensiva tariffaria globale. Tutti i Paesi, ad eccezione della Cina, avranno una tregua dai dazi di 90 giorni: fino a luglio, si applicherà un dazio unico del 10% per chi non ha reagito alle misure statunitensi. Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha annunciato che saranno avviati negoziati con i singoli Paesi e che saranno “su misura”, il che significa che i prossimi 90 giorni saranno dedicati a colloqui su una serie di potenziali accordi.

La scelta della pausa sui dazi

La pausa è stata annunciata dopo che l’economia globale si è scatenata in un’aperta ribellione contro i dazi di Trump, entrati in vigore mercoledì, un segnale che il presidente degli Stati Uniti non è affatto immune alle pressioni del mercato. Sul fronte economico, l’allarme è concreto. Il numero uno di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, ha messo in guardia: una recessioneè un esito probabile” se le tensioni commerciali non si allenteranno. “Nessuno se lo augura, ma se accadrà speriamo sia breve”, ha detto a Fox Business. E ha aggiunto: “Risolvere le questioni legate ai dazi sarebbe la scelta più saggia”. Trump ha prontamente ripostato la frase di Dimon – ma ha omesso la parte sul rischio di recessione. Anche le grandi corporation cominciano a far sentire la propria voce. Walmart ha segnalato che i nuovi dazi renderanno le sue previsioni di profitto “molto meno affidabili”, a causa dell’impatto sul costo dei beni e sul potere d’acquisto dei consumatori.

Ma per Pechino, nessuna pietà. A partire da subito, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti verranno colpite da tariffe record al 125%, in un’escalation che promette ulteriori scintille nei già tesi rapporti tra le due superpotenze economiche. Nel frattempo, Messico e Canada – storici partner commerciali di Washington – finiscono anch’essi nel mirino, con un’imposizione del 10% che rischia di incrinare definitivamente i rapporti trilaterali.

I dazi e i contro-dazi di Pechino

Trump ha cercato di dipingere la mossa come un colpo da maestro diplomatico, dichiarando su Truth Social che “oltre 75 Paesi” avrebbero già contattato Washington per “negoziare una soluzione”. Ma dietro le quinte, il caos è palpabile. Le borse, in cerca disperata di certezze, hanno reagito con euforia all’annuncio della sospensione: l’S&P 500 ha messo a segno un balzo dell’8%, mentre il Dow Jones è salito del 6,6%. Nel suo solito tono trionfalistico, Trump ha proclamato che “è FINITA l’era in cui la Cina derubava gli Stati Uniti”. E, nel tentativo di attrarre investimenti, ha rilanciato: “È un momento FANTASTICO per trasferirsi in America. Tutto andrà per il meglio”.

Ma la realtà è ben più complessa. La Cina ha già annunciato contromisure a partire da giovedì: dazi fino all’84% su una vasta gamma di prodotti americani, un raddoppio netto rispetto all’attuale 34%. Per Pechino, la mossa di Trump è “un errore su un errore”. Anche l’Unione Europea non resta a guardare: è in arrivo un pacchetto di ritorsioni da 25% su beni statunitensi per un valore di 23 miliardi di dollari, con un occhio attento ai settori elettoralmente sensibili per i repubblicani, come l’agricoltura e l’industria pesante.

Eppure, su Pechino, Trump resta fiducioso: il presidente ha anche affermato di essere disponibile a parlare con la controparte per raggiungere un accordo. “Anche la Cina vuole raggiungere un accordo, con tutte le sue forze, ma non sa come avviarlo“, ha scritto Trump sui social media. “Aspettiamo la loro chiamata. Accadrà!“. E udite, udite, si sbilancia anche sull’Europa accenando al fatto che anche con l’Ue “un accordo è possibile“.

Se la guerra dei dazi arriva al Congresso

Intanto, il braccio di ferro sui dazi potrebbe arrivare con violenza al Congresso: un gruppo bipartisan di senatori, tra cui Ron Wyden dell’Oregon, il principale esponente democratico del comitato; il leader della minoranza, Chuck Schumer di New York; e un repubblicano, Rand Paul del Kentucky, prevede di presentare entro la fine della settimana una risoluzione che porrebbe fine allo stato di emergenza nazionale dichiarato dal presidente per introdurre i dazi. La misura avrebbe però un percorso arduo da percorrere. Se la Camera la approvasse, il Congresso avrebbe bisogno di voti sufficienti per superare il veto del presidente. E la Camera potrebbe intervenire per non essere costretta a votare la risoluzione.

I rappresentanti Don Bacon del Nebraska e Jeff Hurd del Colorado, entrambi repubblicani, hanno presentato lunedì alla Camera un disegno di legge bipartisan che darebbe al Congresso l’ultima parola

su eventuali tariffe proposte. Il provvedimento, co-sponsorizzato da due democratici, i rappresentanti Josh Gottheimer del New Jersey e Gregory W. Meeks di New York, non ha ancora ottenuto altri sostenitori repubblicani.


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