La pallavolista Asja Cogliandro:«Mi accusano di volere pubblicità. Io mi sono esposta per i diritti di tutte noi. Questo bambino per me è un miracolo che arriva dopo un aborto»
Dichiarazioni prive di fondamento. Così la Società Black Angels Perugia Volley ha risposto alle parole della pallavolista professionista Asja Cogliandro, all’ottavo mese di gravidanza, con cui accusa la società di essere stata allontanata dalla squadra perché incinta. Parlare di maternità, ancora oggi, all’interno del mondo dello sport, significa toccare ancora un nervo scoperto. La storia di questa professionista, con quindici anni di carriera all’attivo tra A1 e A2, lo racconta bene. Da una parte la società risponde respingendo le accuse al mittente, dall’altra il Ministro e la Federazione Italiana Pallavolo esprimono solidarietà e garantiscono che approfondiranno quanto accaduto perché «la Fipav continuerà ad essere in prima linea su questo tema, oltre a vigilare affinché episodi di questo tipo non trovino spazio nel nostro movimento». Quando Asja Cogliandro ha deciso di comunicare di essere incinta, la società, secondo quanto da lei riferito, avrebbe iniziato a mettere in atto diversi comportamenti del tutto inaspettati: «Mancavano solo sei settimane alla fine del campionato», racconta Cogliandro. «Mi hanno detto che dovevo lasciare la casa in cui alloggiavo e dal mese successivo ho smesso di percepire lo stipendio». Quando risponde al telefono, Asja Cogliandro è a casa, alla trentaduesima settimana di gravidanza e vorrebbe solo potersi dedicare alla nascita del suo bambino.
Come sta?
«Non è una situazione facile, in questo momento soprattutto. Sto cercando di stare tranquilla, più che per me, per il mio bambino».
Il Ministro e la Federazione hanno espresso solidarietà nei suoi confronti.
«Tutto questo mi sarà d’aiuto quando vedrò i fatti e le cose cambiare davvero».
La Società del Perugia ha detto che le sue accuse non sono fondate.
«Non mi sono svegliata l’altro giorno e ho deciso di chiamare la Stampa per fare casino. Sono mesi che combatto per questa cosa. Certo che il il contratto è scaduto il 30 giugno, siamo d’accordo ma noi stiamo parlando dal 20 gennaio scorso per trovare una soluzione. Ci sono stati anche molti silenzi, forse anche per far passare il tempo per far scadere il contratto. Volevo anche fare un appunto a tutti quelli che stanno dicendo che queste cose si risolvono legalmente, di non preoccuparsi perché i miei legali si stanno occupando di tutto».
Cosa l’ha spinta a raccontare?
«Se continuiamo a fare silenzio e non facciamo sentire le nostre voci per paura e per questa violenza psicologica che ho subito e io noto anche adesso in tante ragazze che non si espongono. Capisco la paura, però questa cosa non può continuare. Io sto cercando di trovare una quadra in una vita nuova e con una gravidanza comunque a rischio, che purtroppo cinque giorni fa mi ha tenuto ricoverata al Gemelli a Roma per quasi una settimana. Una gravidanza comunque stressante e di certo tutto questo non ha contribuito alla mia tranquillità».
Qual era la tua richiesta alla Società?
«Io ho diritto a richiedere la maternità a due mesi dal parto ma ho diritto anche al pagamento della fine del mio contratto e sono soldi che mi spettano perché sul contratto non c’è nessuna clausola che dice “No, se rimani incinta non sei pagata”. Negli ultimi cinque mesi non sono stata retribuita da nessuno. Da gennaio ho preso un altro stipendio e poi più niente. E mi sono anche sentita dire, per vie legali, ovviamente, quello che dovevo fare altrimenti avrei dovuto ridare indietro anche i soldi che mi erano già stati dati. Per me è follia».
Cosa contesta?
«In questi due anni a Perugia ho avuto degli infortuni e non mi hanno detto “Non ti paghiamo perché non giochi”. E che differenza c’è se io mi rompo un ginocchio e non posso adoperare l’allenamento, non posso fare la partita, o se non posso farlo perché rimango incinta? Dov’è la differenza? Io non noto differenze. Purtroppo ad oggi la gente vede ancora la differenza invece».
Cosa le fa più male di quanto le sta accadendo?
«Commenti di persone che hanno scritto “potevi pensarci prima di farti mettere incinta”. Bisogna dirle con cautela queste cose perché tu non conosci la mia storia, non sai che ho avuto un aborto un anno e mezzo fa, non sai che ho fatto una cura. Questa creatura che io porto in grembo è stata proprio una una mano del cielo».
Era il suo sogno?
«Sì, come per tante donne e tante altre pallavoliste come me che hanno figli e comunque hanno poi continuato a giocare».
Le sue compagne sono state solidali con lei?
«Mi sono vicine e purtroppo mi metto anche nei loro panni e penso che ci sia tanta paura di esporsi anche da parte loro».
Che programmi ha per le prossime settimane?
«Stare immobile a casa perché il piccolo preme per uscire e sono a rischio di parto prematuro».
Vuole tornare a giocare?
«Non lo so, per il momento sono un po’ amareggiata. Ho visto la partita dell’Italia l’altra sera, anzi mi congratulo con le ragazze, e mi è venuta subito voglia di tornare in campo. Non ho mai pensato di fare una cosa del genere per un grande ritorno in Serie A perché ho sempre pensato che per arrivare in determinati posti devi guadagnartelo. Non ho mai pensato di voler di più di quello che meritassi. Adesso mi immagino mamma e vorrei dedicarmi a mio figlio. È sempre stato un sogno che un po’ era svanito e un po’ ora è quasi tattile, ecco, quindi è una bella cosa».
Come ha scoperto di essere incinta?
«Dovevo fare una visita dalla ginecologa per vedere se continuare questa cura che io stavo facendo perché l’ultima visita non era andata un granché bene. Mi sono accorta quando sono arrivata a casa dalla visita che avevo il ciclo in ritardo di un giorno e così per gioco ho preso un test di gravidanza. Non ho fatto in tempo a fare la pipì che era positivo. Panico. Non ho detto Cioè, non ho detto niente. Ne ho fatti tipo altri cinque e poi ho chiamato il mio ragazzo. Io mi ricordo solo la sensazione che ho avuto da quel momento che è stata il panico».
Poi l’ha detto alle sue compagne di squadra.
«Sì, l’ho detto ad alcune di loro e avevo pensato di aspettare la fine del campionato per dirlo a tutti. Quindi ho fatto fatto quell’allenamento con la squadra dove eravamo tutte preoccupate che mi succedesse qualcosa e così ho deciso di dirlo. E da quel momento è cominciato tutto questo».
Cosa si aspetta che possa scaturire dalla sua vicenda?
«Ad oggi veramente, lo dico col cuore, un atto rivoluzionario sarebbe andare controcorrente. Se in questo momento una società qualsiasi desse supporto a un giocatore sotto questo punto di vista, questo sarebbe un vero atto rivoluzionario».
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