La nostra Costituzione ammette la discriminazione di un artista a causa delle sue idee politiche?
Sono cresciuta in una famiglia antifascista. Mi hanno illustrato, fin da bambina, gli orrori della dittatura. Mia nonna, per la verità, aggiungeva una postilla: “il Duce una cosa buona l’ha fatta, ha agevolato le vedove della Grande Guerra”. Lì finiva la riconoscenza. Dei tanti racconti sul fascismo, uno, di mia madre, mi ha sempre toccata nel profondo, e ha in un certo senso segnato la mia vita.
Alcuni anni prima che la Seconda guerra mondiale scoppiasse, che le bombe cadessero a decine e la popolazione scappasse nei rifugi, mia mamma, giovane, fu ricoverata d’urgenza all’ospedale di Palermo per una peritonite; se non curata, l’avrebbe uccisa in poco tempo. Fu assistita amorevolmente da un medico: di cognome faceva Ascoli (doveva essere Maurizio Ascoli, insigne clinico triestino). Mamma guarì. Il mese dopo, ritornò all’ospedale per ringraziarlo, ma non lo trovò. Ascoli, ebreo, era stato congedato dalla sera alla mattina. Non lo avevano eliminato, gli avevano tolto il lavoro, dunque la vita. Da questo racconto capii che le dittature ammazzano non solo con la violenza diretta, ma anche con quella subdola: ti privano del lavoro, fondamento della dignità personale. Credo sia stata la vicenda del professor Ascoli a rendermi sensibile verso le problematiche dei lavoratori. Sono musicologa, ma avrei potuto fare, con lo stesso entusiasmo, la sindacalista o la giuslavorista. Sarà per un’altra volta.
Il racconto di mia madre mi è tornato in mente in questi giorni. A rinfrescarmi la memoria sono stati i due concerti di musicisti russi programmati e cancellati: del direttore d’orchestra Valerij Gergiev e del pianista Alexander Romanovsky. Ai due concertisti si muove l’accusa di non essersi distanziati dal dittatore Putin: per questo i loro concerti, come le nozze di Renzo e Lucia, non s’han da fare. Insomma, ai due non è concesso lavorare nel nostro Bel Paese. E così è stato. Un’ondata di purezza e di giustizialismo ha invaso l’Italia, e non solo. Tutta Europa è scesa in campo, Memorial Italia si mobilita, firmano petizioni perfino alcuni premi Nobel per la pace: insomma, va impedito a Gergiev di dirigere a Caserta, e, subito dopo, a Romanovsky di suonare a Bologna. Gergiev era già stato allontanato dalla Scala dopo la prima della Donna di picche di Čajkovskij per non essersi pronunciato contro l’aggressione militare all’Ucraina. Da allora gli sono preclusi molti teatri nel mondo. Detto in soldoni: lo si priva del suo lavoro. Certo, non morirà di fame. Ma il metodo sa di fascismo.
Con Alexander Romanovsky il problema è peggiore. Eh sì, perché Romanovsky, oltre a essere ucraino di nascita (non russo), è nostro concittadino: il 15 novembre 2011 ha partecipato all’incontro dei “Nuovi cittadini italiani” col Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Non solo. È docente di pianoforte principale nel Conservatorio “Franco Vittadini” di Pavia. Ora, chi insegna in un Conservatorio italiano è tenuto a svolgere anche attività artistica, e perciò deve esibirsi in concerto, pena una ricaduta negativa sul curriculum. Se a Romanovsky s’impedisce di suonare nelle sale da concerto, non si configura forse una pesante lesione del suo diritto/dovere di professore di Conservatorio? Confido che i sindacati non si vogliano rendere complici di un misfatto. Un misfatto di marca fascista.
Peraltro non si capisce come Romanovsky, se gli è impedito di suonare in pubblico, possa invece continuare a insegnare: se è colluso col regime di Putin, non farà propaganda politica anche con i suoi studenti? Che si fa allora? Gli si toglie l’insegnamento, come fu per il professor Ascoli? C’è poi un altro punto, che vale soprattutto per Gergiev. Ch’io sappia, l’Italia non è in guerra con la Russia, non sono state interrotte le relazioni diplomatiche (ah la diplomazia! dov’è finita in questi anni?), né il direttore è stato dichiarato ‘persona non grata’. Non sarà il caso di chiedersi se la nostra Costituzione ammetta la discriminazione di un artista a causa delle sue idee politiche?
Temo che questi passaggi siano un tantino complicati per la modalità di pensiero che ha preso piede nella nostra Europa (e forse nel mondo). Ossia il pensiero da stadio. Quello simboleggiato dalla Vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, che così avrebbe tuonato: “abbiamo spiegato, lottato, ci abbiamo creduto e abbiamo vinto!”. A me, perdonerete, queste parole fanno venire in mente “Credere, combattere, vincere” di mussoliniana memoria.
Source link