la necessaria riscoperta di un personaggio irripetibile
C’è stato un tempo in cui Ambrogio Fogar era un volto familiare, capace di evocare orizzonti lontani, mari in tempesta e avventure ai limiti dell’impossibile. Oggi, a vent’anni dalla sua scomparsa (24 agosto 2005), il ricordo di quest’uomo straordinario sembra essersi sbiadito, relegato nei cassetti polverosi della memoria collettiva. Per i più giovani, Fogar è poco più di un nome, quando non un perfetto sconosciuto. Eppure, per chi lo ha conosciuto, seguito o anche solo intravisto attraverso lo schermo televisivo, è stato molto più che un esploratore: è stato un simbolo di coraggio, libertà e sete insaziabile di vita. Lorenzo Grossi, con il suo libro Ambrogio Fogar. Le mille straordinarie vite dell’ultimo grande sognatore (Infinito Edizioni, 2025), compie un’operazione tanto doverosa quanto illuminante: riscoprire una figura che ha saputo incarnare l’inquietudine creativa di un’intera generazione. Un modo per portare il lettore in un viaggio affascinante tra le mille vite di un uomo che sembrava incapace di stare fermo. Ma anche per rileggere in retrospettiva la storia di un grande italiano e le sue imprese. In un mondo dove tutto è conosciuto, dove l’inesplorato sembra non esistere, l’esempio di Fogar – più nei suoi istinti che nelle sue imprese – diventa un modello estremamente attuale per chi crede ancora nei cambiamenti. I suoi sogni, la sua indole, parlano ancora oggi al futuro. La sua biografia ci ricorda come esistano sempre dei limiti da superare, delle resistenze da superare. Geograficamente e metaforicamento.
Fogar è nato a Milano il 13 agosto 1941. La narrazione della sua infanzia e adolescenza prende avvio con un passo calibrato. Grossi non ha fretta: prepara il terreno, contestualizza, ricostruisce la cornice storica, culturale e sociale nella quale si inscrivono le imprese di Fogar. È un avvio meditato, che potrebbe apparire lento, ma che si rivela invece fondamentale. Perché Ambrogio Fogar non si comprende davvero se non si tengono insieme i pezzi – sportivi, politici, umani, mediatici – che lo hanno reso ciò che è stato. Il libro diventa così anche uno strumento per rileggere l’Italia del secondo Novecento attraverso gli occhi di un protagonista non convenzionale.
Poi, quando il profilo è stato tracciato, la narrazione accelera e si apre il sipario sulle imprese che hanno fatto di Fogar un “supereroe in carne e ossa”, come lo ha definito l’amico Guido Meda. Ovviamente il giro del mondo in solitaria compiuto nel 1974 a bordo del Surprise: il secondo uomo in assoluto a completarlo da Est a Ovest, ovvero contro le correnti e i venti dominanti. Fogar diventa famoso, anche per aver compiuto l’impresa senza alcuna esperienza pregressa nella vela. Dalla fama alle polemiche, per la morte dell’amico Mauro Mancini al largo delle isole Falkland. E ancora – senza troppi spoiler – le esplorazioni tra i ghiacci (con altre polemiche) in compagnia dell’iconico cane Armaduk, le corse nel deserto, la partecipazione alla riapertura del Canale di Suez.
Ma Fogar non fu solo un pioniere dell’estremo. Fu anche giornalista, conduttore, autore, imprenditore, attivista, perfino arbitro di calcio e attore. Siamo nel 1984 quando con Jonathan – Dimensione Avventura Fogar inventa un nuovo genere di trasmissione tv che diventerà un modello di riferimento e gli consentirà di portare gli italiani negli angoli più remoti del globo. D’altronde, la sua vita è stata un susseguirsi di metamorfosi, di sconfinamenti, di nuove partenze. E Grossi restituisce questa complessità con uno sguardo ampio, che mette in luce le tante sfaccettature di un uomo capace di essere sempre un passo avanti rispetto al suo tempo: parlava di cambiamento climatico negli anni Ottanta, difendeva gli animali, sosteneva la ricerca sulle cellule staminali, criticava la politica piegata agli interessi religiosi, e s’interrogava – senza arroganza – sui temi più profondi della convivenza civile.
Fino e anche oltre il tragico incidente del 12 settembre 1992, in pieno deserto del Turkmenistan, durante una gara di rally. Dalle imprese simbolo di libertà al corpo simbolo di tenacia: Grossi esplora anche il nuovo Fogar, paralizzato nei muscoli ma non nella mente, che si fa strumento di testimonianza, di nuovi tipi di esplorazione. La lettura ha il merito di mostrare quanto sia stato anche un intellettuale atipico, un sognatore, soprattutto un uomo libero. Un anticonformista, si direbbe forse oggi. Sicuramente quei personaggi che smuovono le coscienze, spingono a sognare, sono ispirazione. Eccola l’importanza di questa biografia: la riscoperta di un personaggio che ha vissuto molte vite in una sola e che merita un posto nel pantheon laico degli italiani. Resta una domanda inevitabile: com’è possibile che Ambrogio Fogar sia stato dimenticato? Il lavoro di Grossi è come se riaccendesse un faro, per restituirgli il posto che gli spetta nella memoria collettiva. E per far parlare la sua storia al futuro.
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