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«La mia marcia tra Oscar e Golden Globe sulle montagne trentine»

Alla lunga marcia di Maura Delpero per conquistare Hollywood con il suo Vermiglio si aggiunge con grande soddisfazione un’ulteriore tappa. Lunedì scorso il suo film, che odora di neve e di freddo, di case lasciate alla guida di donne, bambini e anziani in un paesino di mille anime del Trentino, tra le due guerre, è stato incluso anche nella corsa ai Golden Globe, come migliore film straniero. Dopodomani, martedì, sapremo se l’Academy l’ha ricompreso nella shortlist dei 15 titoli candidati per gli Oscar e poi, il 17 gennaio, tra le 5 nomination. La commissione italiana l’ha scelto, preferendolo a Parthenope di Sorrentino, perché, per quanto nordico, parlato in dialetto, senza musiche che non siano i cori dei cantori locali e il grammofono del maestro del paese, Vermiglio raggiunge lo spettatore per un’universalità ancestrale, fatta di solitudine, silenzi, timori, sentori di stravolgimenti. Anche (ma non solo) per questo Vermiglio ha ricevuto il Leone d’argento, Gran Premio della Giuria, alla Mostra del cinema di Venezia.

La corsa agli Oscar richiede una combustione di forze (umane ed economiche) ingenti, una corsa serrata con i ritmi frenetici dell’industria hollywoodiana. Delpero l’ha percorsa con tutta la devozione possibile e le difficoltà legate a gestire una figlia di quasi due anni, Juana Caterina, e una doppia residenza tra l’Italia e Buenos Aires, dove vive con il marito, l’attore argentino Santiago Fondevila Sancet. A Venezia, con

il Leone in mano, aveva voluto sottolineare l’assurda difficoltà di dover combattere con il ruolo di madre e un lavoro impegnativo. «Mio marito e io abbiamo fatto in modo che nostra figlia avesse un fortino affettivo e fosse abituata a una grande flessibilità, ma rinnovo l’appello che ho fatto a Venezia per cercare insieme una strada perché la genitorialità smetta di essere una questione privata. In questi anni mi sono confrontata con molti colleghi e colleghe e ho capito che la professione costringe le donne a scegliere tra priorità. Ovviamente dilemmi che non ho sentito nei miei compagni di sesso maschile. Queste problematiche devono diventare collettive, senza ricadere esclusivamente sulle spalle delle donne. In certi ambienti di lavoro il sesso esclude in maniera diretta o indiretta. E questo è molto ingiusto. Ho amiche direttrici della fotografia in Argentina che con la maternità sono uscite dal mercato e hanno fatto una fatica immensa per rientrare. I maschi sono stati a casa due giorni, hanno fatto le foto, le hanno messe sui social e il terzo giorno erano sul set.

Se condividiamo gli oneri possiamo diventare una società più felice. Anche perché, quando stiliamo le classifiche sulla denatalità, parliamo di società e non di donne, quindi qualcosa non torna. Il primo passo devono ancora farlo le donne per prendere coscienza della diseguaglianza, perché stiamo parlando di un’esclusione secolare, programmatica, naturalizzata in maniera profondissima. Il secondo è lottare per combattere il pregiudizio. C’è ormai una certa stanchezza, anche in me, a parlare di diseguaglianza. Io stessa non vedo l’ora, come regista, di occupare le mie interviste discutendo delle scelte difficili che ho fatto sulla sceneggiatura, dell’impegno che ho messo nel lavorare sulla fotografia, di come mi sono scervellata sul casting, senza preoccuparmi di questioni di genere. E capisco che nel mondo maschile qualcuno possa sentirsi in qualche modo sotto attacco. Ma ci sono dei passaggi obbligati e noi siamo in ritardo».

Guardando la filmografia di Delpero, 49 anni, al suo secondo lungometraggio con Vermiglio, si capisce che anche il suo cammino professionale ha avuto degli inciampi, forse per questioni di genere e forse no. Dopo aver studiato lettere a Bologna, poi a Parigi-Sorbona e drammaturgia a Buenos Aires, comincia la sua carriera da cineasta di documentari, corti e mediometraggi. Il primo lungometraggio, Maternal, arriva nel 2019 e parla di ragazze che “subiscono” la propria maternità, assieme ad altre donne, le suore con cui vivono, che non “possono permettersela”.


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