Piemonte

La macchina della salute – Torino Oggi


Cari lettori, sono mancata per quasi tre mesi a causa di un incidente stradale che mi ha provocato una grave rottura trimalleolare della caviglia. Dolore e momenti di sconforto non sono mancati, ma anche tanta gioia e riconoscenza per tutte le persone che mi hanno accompagnato e mi stanno accompagnando in questa esperienza così intensa. In questo difficile percorso, importanti compagni di viaggio sono stati il coraggio, la forza e la fiducia, perché sono consapevole che la salute, intesa come cura, recupero e guarigione, dipende da molti fattori che conosco bene, grazie alla Nutrigenomica, la scienza che studio e che applico nel mio lavoro. 

Ed è proprio di questi “fattori” che vi voglio parlare in questo articolo. Per prima cosa dobbiamo ben comprendere i concetti di salute e malattia. Che cosa è la salute? Il dizionario vi dirà: “E’ una condizione di benessere fisico e psichico dovuta a uno stato di perfetta funzionalità dell’organismo”. Ma salute, dal latino salus, significa anche “salvezza” oltre che guarigione. Quindi, salute e salvezza, nel linguaggio antico, coincidono. Lo stesso Dante racconta nella sua opera più importante il suo percorso di guarigione. 

Nella Commedia dantesca, infatti, si percorre un immaginario cammino attraverso il quale il medico (Virgilio) e il paziente (Dante) compiono il loro viaggio nella relazione di cura e nella comprensione della “malattia”, attraversando l’inferno del dolore e della solitudine, passando per la faticosa scalata al monte del purgatorio alla ricerca della guarigione, nel paradiso, dove Beatrice attende Dante per restituirgli la tanto agognata salute-salvezza. Mi piace fare questo riferimento a Dante, in quanto considero lo stato di salute un vero e proprio traguardo che si raggiunge con tanto impegno, forza di volontà e conoscenza. 

Uno stato psicofisico che in qualche modo “ci salva”, perché ci riconduce “sulla retta via”. Dal punto di vista della Nutrigenomica, la salute è un insieme di giusti atteggiamenti e scelte che facciamo nell’arco della nostra vita, a cui va sommato anche tutta la componente genetica ed ereditaria. Infatti, ogni individuo è il risultato finale di un complesso gioco di interazioni e modificazioni, che cominciano nelle primissime fasi dello sviluppo fetale e proseguono nell’arco della vita.

 Il problema è che sono sempre più gravi i fattori esogeni che favoriscono la malattia, a cui si sommano i fattori endogeni genetici od ereditari. La salute è sempre la somma di ciò che siamo come geni e ciò che facciamo, perché le nostre azioni sono in grado di modificarli, sia in positivo (salute) che in negativo (malattia). Passiamo ora al concetto di malattia. Essa non è assenza di salute, ma è lo sforzo che fa l’organismo per recuperare gli equilibri persi. A livello olistico la malattia è considerata uno “squilibrio psico-fisico-sociale”; uno “squilibrio globale tra mente e corpo”; una “mancanza di armonia tra le parti”. E’ un qualcosa di unico, di singolare, di personale, ma soprattutto di naturale. 

La malattia è anche un “logoramento dell’energia vitale”, quell’energia responsabile dell’integrità e del perfetto equilibrio dell’organismo. E’ una condizione particolare che dovrebbe spingere l’uomo a porsi delle domande, a cambiare le proprie abitudini di vita, a divenire più consapevole, in poche parole a prendere coscienza dei propri errori. La concezione antropologica della salute e della malattia ci dimostra come, anche i concetti più fortemente radicati in noi, siano il risultato mentale di condizionamenti sociali e familiari. Del resto, quando pensiamo che un soggetto sia in piena salute? Quando i suoi valori ematici, di temperatura e psicologici rientrano nei parametri di normalità. Però il “concetto di normalità” si basa sulla statistica, che poco si sposa con la salute, perchè è un concetto troppo astratto che non tiene conto della soggettività ed unicità della persona. 

Quindi, se ci basiamo solo su questi presunti “parametri di normalità” e su variabili linee guida e protocolli d’intervento, si rischia di assumere un approccio che considera il malato solo un insieme disunito di tessuti, organi, sistemi e funzioni vitali, rivolgendo l’attenzione alla singola parte e non all’insieme, dando più importanza al sintomo che alla ricerca della causa. La malattia è sempre indotta da una o più cause che possono essere di natura traumatica, infettiva, metabolica o psicologica. Ci possiamo “ammalare” in seguito a un incidente stradale (come nel mio caso); perché abbiamo contratto una infezione virale o batterica; per alterazioni metaboliche causate da una alimentazione squilibrata o perché vittime di traumi psicoemotivi. 

In ogni caso, non è mai una singola causa che ci porta alla malattia, ma si parla sempre di multifattorialià. Il corpo va in squilibrio e lo manifesta attraverso tutta una serie di sintomi più o meno violenti. Secondo la filosofia orientale il corpo è l’“atanor” (vaso); un contenitore che deve essere salvaguardato, rispettato, aiutato nelle sue mansioni vitali quotidiane, perchè esso stesso è in grado di ripararsi e rigenerarsi.  Molte volte da solo non ce la fa e ha bisogno di essere aiutato (medici ed operatori nell’ambito sanitario) e accompagnato nel suo percorso di guarigione. Ma per “curare” è fondamentale andare anche oltre la fisicità, oltre il dolore fisico. 

Occorre ascoltare e comprendere la persona malata, perché la sua sofferenza non sarà solo fisica, ma anche mentale ed emozionale. Infatti, moltissimi studiosi sostengono che non è più possibile scindere il soma dalla psiche, gli stati d’animo dalle attività fisiologiche. La stessa PNEI (psiconeuroendocrino immunologia) sostiene che il passaggio da eventi puramente astratti a reazioni somatiche avviene tramite il sistema nervoso e il sistema endocrino: attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi, tutti i nostri “atteggiamenti mentali” si ripercuotono sull’equilibrio ormonale del nostro organismo determinando reazioni di tipo fisiologico, che, se eccessive, possono provocare alterazioni, disturbi, fino alle vere e proprie patologie. Così una emozione violenta può provocare un infarto cardiaco, una emorragia cerebrale, delle crisi convulsive, una crisi asmatica, ma anche gastrite, reflussi, coliche, mal di testa. 

E’ davanti agli occhi di tutti, quanto la paura, la collera, la gioia, determinano tremori, rossore o pallore del viso e palpitazioni. Ma dietro a uno scompenso organico c’è sempre una chiave simbolica: i sentimenti e le emozioni hanno una certa ripercussione sul corpo! La malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio. Per questo motivo, un bravo medico terrà sempre presente il fatto che ogni situazione ha un peso diverso in ciascun individuo in funzione del suo vissuto, della sua storia e del suo sviluppo psicologico e che comunque le emozioni di paura, sfiducia e delusione, se presenti, potranno provocare delle “scariche” del sistema nervoso centrale, le quali verranno orientate verso il sistema vegetativo, influenzando ed ostacolando la guarigione. 

Un buon medico (come Virgilio per Dante) è una “guida”, colui che ci dice cosa fare e dove andare; è colui che interviene a seconda delle sue competenze, prendendosi carico della nostra persona. Questo però non basta, perché noi dobbiamo partecipare attivamente al recupero del nostro stato di salute, intesa come guarigione e “salvezza”, perché molte volte rimetterci in carreggiata, superando una malattia, ci salva la vita. Ma perché ci ammaliamo? Magari abbiamo per anni tirato troppo la corda, abusando di cibo, droghe e cattive abitudini, oppure può succedere che all’improvviso arrivi l’evento che ti scaraventa nella malattia: non te la sei cercata, non l’hai provocata a causa di comportamenti sbagliati, ma viene provocata da fattori esterni e indipendenti da te (proprio come è successo a me). 

Mi sono ritrovata, mio malgrado, fortunatamente non in pericolo di vita, ma vittima di un grave incidente che ha messo in serio pericolo la corretta funzionalità della mia caviglia, quindi del mio deambulare futuro e del mio benessere in generale. Che cosa ho fatto? Non mi sono fatta schiacciare dallo sconforto o dalla rabbia, non mi sono sentita vittima delle circostanze, ma fin da subito mi sono impegnata in prima persona a collaborare per il pieno recupero della mia salute. In primis, mi sono affidata alle cure di specialisti ortopedici, fisiatri e fisioterapisti che si sono presi cura della mia caviglia in modo esemplare, ma non mi sono fermata lì, perché è stato un vero e proprio lavoro di squadra, mettendo sul tavolo anche tutte le mie conoscenze nutrigenomiche. Ho iniziato a lavorare sul mio microbiota e intestino e non è stato un caso perché so bene quanto l’intestino è per il corpo umano come le radici per un albero: quando le radici iniziano ad ammalarsi, tutto l’albero si ammala. L’intestino è il nostro cervello enterico, è la casa del nostro microbiota e nelle sue sottomucose ospita il sistema immunitario. 

E’ stato quindi fondamentale per me preservarlo, per rafforzare il mio organismo. Ho lavorato sulla mia digestione, perchè se il cibo non viene ben digerito, tutta la macchina corporea viene compromessa: l’assorbimento dei nutrienti rimane alterato, le tossine non vengono eliminate, ma rimangono in circolo o intrappolate nei tessuti e le cellule vanno in iponutrizione, perché non ricevono i giusti nutrienti. Dovevo assolutamente evitare che le mie mucose enteriche diventassero porose, infiammate e disbiotiche, condizione che avrebbe permesso il proliferare di microorganismi patogeni che, entrando nel flusso ematico, avrebbero provocato una reazione del sistema immunitario e una sorta di “infiammazione sistemica silente” che sicuramente non avrebbe agevolato il mio recupero. 

Mi sono concentrata anche sull’alimentazione, ben consapevole di quanto fosse importante “nutrire” al meglio le mie cellule con alimenti vivi, naturali e freschi. Ho accompagnato il tutto con una integrazione molto mirata di micronutrienti specifici per agevolare il recupero delle strutture profondamente alterate, per favorire la rimarginazione delle ferite, la sintesi del tessuto osseo, la corretta fluidificazione del sangue e l’azione detox degli organi emuntori. Ho lavorato anche sull’aspetto psicoemotivo con professionisti, per aiutare le mie cellule “traumatizzate” a elaborare l’evento traumatico.

 Insomma, ho messo in moto la vera “macchina della salute” e nonostante la paura, il gran dolore e naturali momenti di sconforto, l’essermi sentita partecipe e protagonista ha sicuramente accelerato il mio processo di guarigione. Allora, questo è il mio consiglio: partecipate attivamente al recupero del vostro stato di salute, modificate il vostro stile di vita, migliorando la vostra alimentazione, abbandonando vizi nocivi e affidatevi a professionisti seri, fidandovi di chi si prende cura di voi, magari anche con un sorriso. Ascoltate il vostro corpo “malato” e imparate ad aiutarlo nel percorso di guarigione, perché voi con il giusto atteggiamento mentale potete veramente fare la differenza.




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