Basilicata

La guerra tra fratelli nel clan Mancuso nelle rivelazioni di Megna

Il pentito Pasquale Alessandro Megna parla della guerra in atto tra fratelli, ritenuti esponenti di primo piano del clan Mancuso, con sparatorie, bombe e agguati falliti. E sulla figura di Pantaleone alias “Scarpuni” dice: “Era un diavolo”


VIBO VALENTIA – Apre numerosi e interessanti scenari in seno al clan Mancuso il pentito Pasquale Alessandro Megna, imprenditore ittico, imparentato con la potente consorteria di Limbadi che dopo l’arresto (9 gennaio 2023) per l’omicidio di Giuseppe Muzzupappa, commesso il 26 novembre 2022, a Nicotera Marina, ha deciso di collaborare con la Dda di Catanzaro facendo luce su quegli angoli rimasti fino a quel momento al buio, aggiungendo carne al fuoco a quella già messa dall’altro pentito, Emanuele Mancuso, membro diretto della famiglia.

E dalle parole del pentito Megna si evince che le contrapposizioni e le guerre in seno al clan Mancuso erano più frequenti di quanto non fossero emerse finora. Questo, almeno, fino all’uscita dal carcere dello “Zio Luigi”, a metà della seconda decade degli anni 2000, che, per via del suo carisma e spessore, le limitò fortemente pur non riuscendole ad eliminare del tutto. Il più rissoso, secondo il collaboratore, sarebbe stato suo zio Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, che Megna definisce un “vero diavolo”, aggiungendo che non si parlava neanche con i fratelli e addirittura i genitori.

“SCARPUNI” E “BANDERA”: FRATELLI CONTRO

E riguarda proprio i fratelli l’aneddoto di cui ha riferito in uno dei tanti verbali rilasciati alla Dda come quello del furto di una moto per la quale si sono contrapposti “Scarpuni” e il fratello Francesco alias “Bandera”. Racconta Megna che da una parte vi erano “Luni con Totò Yoyò (Antonio Prenesti, ndr) che sono andati, con la moto Enduro di mio zio, a casa di Ciccillo “u Cauzuni” ed hanno picchiato il fratello Cosimo. Poi, “Bandera” ha messo una bomba sotto casa di Yoyò. Si sono bisticciati tra fratelli, insomma. Erano già nemici ma per questa moto è successo un casino: poi Prenesti e “Scarpuni” hanno sparato a Rizzo “a Piula” colpendo la sua macchina con lui dentro, ma senza riuscire a prenderlo”.

DANNEGGIAMENTI E AGGUATI

Sollecitato sul punto dagli investigatori, Megna approfondisce meglio la questione del furto della moto che inizialmente era stato addebitato a lui e “a  Vladimiro Carrieri, ma che in realtà era stato commesso da Gregorio Congiusti, autore dell’omicidio di Carmine Cedro, e da Salvatore Muzzupappa, detto “Tlatla”, arrestato per droga. La moto doveva essere restituita a un ragazzo di una famiglia per bene, estranea a circuiti criminali, che la rivoleva. Avvenne che Francesco “Bandera”, insieme a Cocimino Campennì, fratello di Ciccillo e Giovanni “Cuzuni”, presero le parti di questo ragazzo impegnandosi a fargli  riavere il mezzo e finirono per picchiare Congiusti che, che a sua volta, venne difeso, nell’occasione, proprio da “Scarpuni”, in quanto il cugino, Giuseppe Muzzupappa, detto Peppe “u Marocchino”, fratello del “Tlatla”, che era sempre con “Scarpuni” e faceva il guardiano alla “Venta Club” di Nicotera”.

BOMBE E SPARATORIE TRA FAZIONI DEL CLAN MANCUSO

Ad ogni modo, dopo il pestaggio di Congiusti, secondo ancora il racconto di Megna, Pantaleone Mancuso  si sarebbe recato con “Yoyò” Prenesti a “casa di Campennì per picchiarlo” e da lì si “innescò così una serie di botta e risposta in cui, come prima cosa, Francesco “Bandera” sparò al negozio della Chicco, che era della moglie di Lello Tomeo, uno che faceva da cassiere a “Scarpuni” e che era legatissimo a quest’ultimo. So questo per aver visto direttamente la moglie di Tonino La Rosa consegnare una somma di circa 600.000 euro a mia zia per conto del marito, la quale mandò a chiamare Tomeo affinché la conservasse”.

Dopo la sparatoria alla Chicco, “Scarpuni”, sempre insieme a Prenesti, avrebbe sparato a “Giuseppe Rizzo sul lungomare di Nicotera Marina, colpendo la sua macchina, senza prenderlo. A quel punto la reazione di Francesco “Bandera”, mio zio Salvatore Muzzupappa, Leo e Giovanni Rizzo detto “Mezzodente”, che all’epoca erano tutti dalla stessa parte, collocarono una bomba alla casa del padre di “Yoyò” e si misero a sparare a tutti i furgoni dei Tomeo ed anche alla casa di questi, che si trova sulla stessa strada in cui abitano i Piccolo”.

Una vicenda, questa, che Pasquale Megna afferma di conoscere bene per averla appresa sia dallo “zio Salvatore Muzzupappa e da Antonio Mancuso cl.83, figlio di Peppe ’Mbroghjia,  con quest’ultimo che, per questa vicenda, fece anche picchiare di brutto Giuseppe Muzzupappa detto ‘U marocchino da alcuni rosarnesi, che gli presero l’auto, una Fiat Punto GT, e gliela incendiarono su un passaggio a livello, poi ritrovata dai carabinieri. Tutto questo avvenne tra il 2001 ed il 2002, ricordo che io non avevo neanche la patente”.

TABACCO E L’INGEGNERE NON SI PARLAVANO (440)

Non scorreva buon sangue nemmeno tra l’altro Luni, “l’ingegnere” e il fratello Francesco detto “Tabacco”. Il primo, racconta ancora il collaboratore, quando “mi chiamava per prendere del pesce, mi chiedeva sempre di mandargli l’imbasciata per riappacificarsi: mi chiedeva di dire a “Tabacco” di andare da lui a parlare ma ogni volta che la riferivo, quest’ultimo mi diceva che se il fratello voleva parlargli doveva andare a trovarlo senza mandare imbasciate con altri. I due non erano in buoni rapporti già da prima dell’operazione “Dinasty” (2003)”.

MEGNA RACCONTA LE STRUTTURE TURISTICHE GESTITE DAI MANCUSO

La famiglia Mancuso avrebbe gestito per anni una serie di strutture turistiche nel territorio di Nicotera come il Sayonara, luogo anche in cui i vertici del clan avrebbero trascorso periodi di latitanza, per come conferma il pentito Megna: “Luigi Mancuso e/o altri componenti della famiglia sono stati ospitati nel villaggio “Sayonara” durante periodi di latitanza e/o irreperibilità più di una volta per come appreso da mio padre. Quella volta che lui è andato al Sayonara, per parlare dentro un bungalow per la gestione del Cliffs Hotel di Joppolo, c’era pure Pantaleone Mancuso, alias “l’ingegnere”, che si stava “guardando”, non so se per la casa-lavoro, o se era latitante o se irreperibile per la sorveglianza speciale”.

L’incontro sarebbe avvenuto tra fine 2015 o inizio 2016 perché il pentito precisa che stava terminando la casetta in contrada Timpa a Nicotera Marina e di ricordare di essere andato “nella campagna de “l’ingegnere” a prendere sia lui, sia lo zio Luigi, all’epoca, entrambi irreperibili, che salirono sulla mia macchina e li portai in un altro terreno di campagna, che in linea d’aria non distava neanche 200 metri dal villaggio”.

Da parte sua, Pantaleone Mancuso “Scarpuni” “comandava il “Venta Club” e mia zia Tita Buccafusca al suo interno aveva anche un negozio che teneva insieme al dott. Salvatore Rizzo, ex sindaco di Nicotera, arrestato anche lui nell’ambito della operazione Rinascita-Scott”.

IL PENTITO MEGNA: “L’EX SINDACO PRESENTE AL TRASFERIMENTO DEL LATITANTE PESCE”

Quando parla di Salvatore Rizzo, Megna fa riferimento all’ex sindaco, “nutrizionista o dietologo che lavorava all’ospedale di Polistena, poi arrestato nell’operazione “Rinascita-Scott” insieme a Luigi Mancuso. Alla mangiata al Cliff, organizzata da Mancuso, lui era presente e  lo era anche nell’occasione in avvenne il trasferimento del latitante Marcello Pesce, nel territorio di Nicotera Marina e a Nicotera Marina. Pesce mi parlava di Rizzo come di una persona con cui aveva un rapporto di parentela, per il tramite della cognata, con la quale si rispettava e che lo trattava bene”.

MEGNA SULLA LA GESTIONE DELLE CROCIERE DA PARTE DEI MANCUSO

Pasquale Megna parla anche della gestione delle mini crociere e ai collegamenti con le Eolie appannaggio del clan di Limbadi riferendo che per queste cose “ed altro posso dire che “se la vedeva Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” per tutto quello che riguarda la zona di Briatico, Portosalvo, Vibo Marina etc. Ci sono stati un po’ di problemi lì con i Piscopisani ma insomma lì c’è sempre stato lui. So che per le cose delle Eolie era coinvolto anche Nino Accorinti, ma comunque sotto mio zio “Scarpuni”, e sua moglie, Tita Buccafusca aveva interi mazzi di biglietti di questi trasporti, ne aveva con lei molti anche quando è morta”.


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