La geopolitica dell’indeterminazione – il Giornale

Giugno 1925. Afflitto da un’allergia ai pollini, il giovane Werner Heisenberg (nella foto) si rifugia sull’isola di Helgoland, nel Mare del Nord. Ha 23 anni e, in quei giorni di isolamento, formula un’idea destinata a rivoluzionare la fisica.
Al posto dei modelli continui della meccanica classica, introduce un nuovo linguaggio matematico, che darà origine alla meccanica delle matrici: una rappresentazione inedita del mondo subatomico, fatta di discontinuità, salti tra stati e probabilità. Non più certezze deterministiche, ma un orizzonte in cui l’osservazione interagisce con ciò che descrive.
Cent’anni dopo, quella rivoluzione non resta confinata ai laboratori. Come ricorda la risoluzione dell’ONU che ha proclamato il 2025 Anno Internazionale della Scienza Quantistica, la posta in gioco non è solo scientifica, ma politica. Negli Stati Uniti, la leadership nel settore è sostenuta da leggi e investimenti strategici: la Quantum Initiative Act del 2018 ha lanciato un piano federale coordinato, rafforzato nel 2025 da un nuovo sostegno bipartisan. In Europa, l’approccio è più frammentato, ma non mancano poli d’eccellenza, come quello del Politecnico di Torino.
La fisica quantistica è entrata nel cuore della politica globale: gli Stati competono per la supremazia tecnologica, le università formano le élite del futuro, le imprese investono in algoritmi e calcolo probabilistico. Ciò che un tempo era dominio di scienziati e tecnici è oggi terreno strategico, dove si giocano equilibri geopolitici.
In questo scenario, il paradigma quantistico nato per descrivere i fenomeni subatomici offre strumenti concettuali per orientarsi nell’instabilità globale. L’azione non segue più la norma: la genera. Lo scenario muta mentre lo si osserva, e il nesso causa-effetto perde linearità. Quando la geopolitica non comprende, parla di «Caoslandia»; quando il diritto si smarrisce, evoca la «fuzzy Law». Ma ciò che sembra disordine è spesso il segnale di una trasformazione più profonda.
La realtà si comporta sempre più come un campo fluido, attraversato da connessioni invisibili. Un attacco informatico può affiorare come da uno specchio d’acqua torbido, dove non è chiaro se emerga un pesce, un sommozzatore o un predatore.
Si colpisce per difendersi, ma solo colpendo si comprende se la minaccia era reale. E nel momento stesso in cui si interviene, può rivelarsi che si trattava di un gioco innocuo o di un attacco in corso. Il nostro diritto costituzionale, che non ammette la guerra preventiva, fatica a orientarsi: la distinzione tra passato e presente si sfuma, e la diagnosi coincide con l’intervento.
La familiarità con il pensiero quantistico può diventare, dunque, decisiva. Non certo per applicare modelli fisici fuori contesto, ma per meglio decifrare la complessità.
Molte delle categorie con cui oggi insegniamo sono nate in un’epoca in cui la tecnica evolveva in modo incrementale. Ma oggi, la tecnica si muove su scala esponenziale. Interseca e ristruttura potere e comunicazione.
Il futuro delle democrazie passa anche da qui: dalla capacità di riformare la formazione strategica e istituzionale.
La tecnica non è più un oggetto da regolare: è la grammatica concreta del potere. A differenza dei regimi autoritari, le democrazie si vincolano a principi di legalità basti pensare alla tutela della privacy. Ma proprio questa coerenza normativa, se non accompagnata da lucidità strategica, può trasformarsi in una vulnerabilità.
La loro superficie d’attacco cresce esponenzialmente, mentre i processi decisionali restano lenti, lineari, prevedibili.
È fondamentale che la futura classe dirigente comprenda e interiorizzi questa asimmetria strutturale.
Non si tratta di aggiungere un modulo sulla cybersicurezza ai manuali di diritto pubblico, né di inserire qualche riferimento all’IA nei corsi di relazioni internazionali. Occorre ripensare il senso stesso della formazione e restituirle una funzione strategica e anticipatoria.
Cento anni dopo Helgoland, tocca ora alla geopolitica e al diritto confrontarsi con la discontinuità, la complessità e l’indeterminazione.
*Ordinario di diritto comparato, Unint-Roma
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