Puglia

La fontana di piazza Plebiscito non è habitat idoneo


Riceviamo e pubblichiamo la nota di Cristina Caporusso, Dottoressa magistrale in Conservazione della Biodiversità e Gestione Sostenibile delle Risorse Naturali

Mi presento sono Cristina Caporusso, Dottoressa magistrale in Conservazione della Biodiversità e Gestione Sostenibile delle Risorse Naturali, oggi desidero condividere con voi un episodio che, più che lasciarmi perplessa, ha suscitato in me una profonda indignazione.​

Sulla nostra litoranea si è consumata una tragedia silenziosa, travestita da atto eroico: un gesto mosso dalla pietas umana nei confronti della natura, che – si sa – ha costantemente bisogno dell’intervento salvifico dell’uomo per poter sopravvivere.​.. Un’associazione, animata dalle più nobili intenzioni, ha deciso di mettere in atto un “salvataggio”. Protagonisti della vicenda: dei girini, ritenuti vittime designate del disseccamento delle pozze temporanee in cui si trovavano.​

Nel video pubblicato sui social si afferma con convinzione che si tratta di rane (sorvoliamo sull’identificazione incerta della specie), e che i girini verranno trasferiti in piazza Plebiscito, in quello che viene definito uno “stagno biologico”. Spoiler: si tratta in realtà di una fontana, già abbondantemente popolata, in cui il termine “habitat naturale” può al massimo evocare un acquario da centro commerciale.​

La motivazione dichiarata dell’operazione? Salvare i girini, certo. Ma non manca un lieto fine da fiaba urbana: le future rane, si sostiene, “allieteranno le serate barlettane”. Una narrazione poetica, degna del miglior storytelling da social, peccato però che si tratti di fauna selvatica, non di comparse da anfiteatro.​

A questo punto qualcuno potrebbe obiettare: «Hanno salvato dei girini, dove sarebbe il problema? Li hanno portati in un posto bello, pieno di altri animali! Voi ambientalisti vi lamentate sempre!».​ Ebbene, vorrei tanto potervi dare ragione. Vorrei dirvi che si è trattato di un autentico intervento di emergenza, motivato da conoscenze ecologiche e realizzato con criteri scientifici. Ma purtroppo, non è così.

Cominciamo quindi dall’inizio, cercando di analizzare – punto per punto – gli errori compiuti, affinché simili situazioni non si ripetano. Perché chiamare le cose con il loro nome non è solo una questione di stile, ma di responsabilità scientifica.

L’azione di prendere un gruppo di individui appartenenti alla stessa specie da un’area naturale e trasferirli in un’altra area viene, nel gergo tecnico, definita traslocazione. Una parola elegante per indicare un intervento che, se fatto senza criterio, può comportare conseguenze ecologiche molto più gravi di quelle che si intendeva evitare. Ora, non tutte le traslocazioni sono uguali, e l’ecologia applicata ci offre una classificazione precisa (AA.VV., 2007):

  • Reintroduzione: quando si trasferiscono individui in un’area in cui la specie era presente storicamente ma risulta oggi estinta. Un’operazione delicata, solitamente guidata da obiettivi di conservazione e supportata da piani scientifici dettagliati.
  • Ripopolamento: si parla di ripopolamento quando si immettono nuovi individui in una popolazione già esistente ma in calo, per rafforzarne la presenza.
  • Introduzione: è il caso più critico, che prevede l’immissione di una specie in un’area al di fuori del proprio areale storico naturale, tipicamente quando quest’ultimo è diventato inadatto a sostenerla. Operazione di emergenza, spesso discussa, che richiede precauzioni massime.

Tornando al caso barlettano: di cosa si è trattato? Salvo che non si voglia sostenere che piazza Plebiscito rappresenti un habitat storico per una qualche ignota popolazione relitta di anuri, possiamo escludere la reintroduzione. Nemmeno di ripopolamento si può parlare, a meno che non si consideri la fauna acquatica della fontana come una comunità naturale consolidata. Il che è palesemente falso: nella vasca della fontana non è presente alcuna popolazione stabile di rane, rospi o altri anfibi, e ciò è dovuto alla presenza di specie incompatibili sotto il profilo ecologico. In particolare, la vasca ospita pesci e tartarughe, tra cui esemplari di Trachemys scripta, una specie alloctona, carnivora e fortemente invasiva, nota per la predazione attiva su uova e larve di anfibi. In un simile contesto, l’introduzione di girini non solo risulta inefficace dal punto di vista conservazionistico, ma li espone con ogni probabilità a un destino letale.

Resta dunque l’introduzione non autorizzata in un ambiente artificiale e non idoneo. Ma non è tutto. Qualunque traslocazione di fauna selvatica in Italia è soggetta a una precisa autorizzazione regionale. E questa non si concede in nome della buona volontà o dei like raccolti su Facebook, ma solo sulla base di uno studio di fattibilità scientificamente strutturato, che includa:

  • una valutazione di opportunità, che giustifichi la necessità dell’intervento e ne verifichi la coerenza con le linee guida per la specie;
  • un’analisi del rischio, che consideri l’impatto del prelievo sulla popolazione d’origine, i rischi sanitari, e i possibili effetti negativi sull’ecosistema ricevente (ibridazione, predazione, competizione, alterazioni trofiche, ecc.).

Inoltre, quando l’intervento riguarda specie di interesse comunitario, come quelle incluse nell’Allegato D del DPR 357/97 o nell’Allegato I della Direttiva 79/409/CE, la valutazione non può essere lasciata al giudizio dei singoli. Deve essere effettuata, caso per caso, da enti scientifici competenti: l’ISPRA (già INFS) per i vertebrati omeotermi, l’ICRAM per le specie marine, o altri organismi qualificati per i restanti taxa (AA.VV., 2007).

Nel caso specifico, tuttavia, non ci troviamo nemmeno davanti a una corretta identificazione tassonomica: non si trattava di girini di rana, bensì, con elevata probabilità, di rospo smeraldino (Bufotes viridis), specie legata a pozze temporanee e attiva in primavera. Questo anuro è incluso nell’Allegato IV della Direttiva Habitat (92/43/CEE), che raccoglie le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa.

Secondo l’articolo 12 della direttiva, è fatto divieto assoluto di:

  • catturare o uccidere deliberatamente esemplari in natura;
  • disturbare intenzionalmente gli animali, soprattutto durante le fasi delicate del ciclo vitale (riproduzione, allevamento, ibernazione, migrazione);
  • distruggere o prelevare deliberatamente le uova;
  • danneggiare o distruggere i siti di riproduzione o le aree di riposo.

Inoltre, è vietato il possesso, il trasporto e lo scambio di esemplari prelevati dalla natura, anche a fini non commerciali, salvo autorizzazioni specifiche e documentate.

Il concetto di “azione deliberata” non si limita all’intenzione esplicita: secondo la Commissione Europea (2021), rientra nella definizione anche il comportamento di chi agisce pur conoscendo o accettando il rischio di danneggiare la specie. Una responsabilità che la giurisprudenza comunitaria ha chiaramente sancito, estendendola a chi agisce con colpa grave o negligenza consapevole (cause C-103/00 e C-221/04).

Stesso discorso per la perturbazione intenzionale, che può compromettere il successo riproduttivo o la sopravvivenza degli individui attraverso lo spostamento forzato, il disturbo comportamentale o l’alterazione dell’habitat. Tutto ciò è vietato in ogni fase del ciclo vitale.

In sintesi, un’eventuale traslocazione di girini di Bufotes viridis, senza un’autorizzazione fondata su uno studio tecnico-scientifico e una deroga motivata ai sensi dell’art. 16 della Direttiva Habitat, configura una violazione grave della normativa comunitaria. Altro che salvataggio: qui si rischia di passare dal danno ecologico al reato ambientale.

Ed ecco che la favoletta dell’uomo-eroe che salva la natura si sgretola. Questo episodio, solo in apparenza innocuo, racconta molto più di quanto si possa immaginare: azioni che ai più sembrano dettate da una “buona anima” e da nobili intenzioni, nascondono in realtà una problematica ben più profonda. Come recita il detto, “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”: senza una reale comprensione dei meccanismi ecologici, anche i gesti più altruistici possono generare danni concreti e duraturi alla biodiversità.

Se domani mi improvvisassi medico, lascereste che vi operassi solo perché ho visto qualche puntata di Grey’s Anatomy? Dubito. Allo stesso modo, la conservazione delle specie e la tutela degli ecosistemi non possono essere affidate all’improvvisazione. Richiedono rigore scientifico, valutazioni tecniche approfondite e il rispetto scrupoloso delle normative. Ogni intervento in natura, anche il più piccolo o benintenzionato, ha conseguenze che devono essere affrontate con responsabilità.

In un tempo in cui gli ecosistemi sono sempre più fragili, è fondamentale spostare il focus dal gesto simbolico alla competenza, dalla buona volontà alla conoscenza. Per proteggere davvero la fauna e gli habitat che ci circondano, non basta “fare qualcosa”: è necessario fare la cosa giusta, nel modo giusto, con le giuste autorizzazioni.

La tutela della biodiversità non è materia di buoni propositi, ma di scienza, etica e partecipazione consapevole. Mi auguro che questo scritto possa favorire un confronto sereno e costruttivo con l’associazione coinvolta, anche alla luce del fatto che, nonostante alcuni tentativi di interazione attraverso i canali social da loro utilizzati, non ho ricevuto riscontro. Credo infatti che anche da un’incomprensione possa nascere un’opportunità di crescita e consapevolezza condivisa.

Firmato,

Dottoressa Cristina Caporusso in Conservazione della Biodiversità.

Bibliografia

  • AA.VV. (2007). Linee guida per l’immissione di specie faunistiche. Quaderni di Conservazione della Natura, 27. Ministero dell’Ambiente – Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi ISPRA).
  • Commissione Europea. (2021). Documento di orientamento sulla rigorosa tutela delle specie animali di interesse comunitario ai sensi della Direttiva Habitat (C(2021) 7301 final, Bruxelles, 12 ottobre 2021). Bruxelles.
  • Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (Direttiva Habitat).
  • Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357. Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.
  • Direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (Direttiva Uccelli) [ora sostituita dalla Direttiva 2009/147/CE].

 

 

 

 

 

giovedì 1 Maggio 2025


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