La fine dell'”imperialismo straccione”. Russia e Iran, batosta per le autocrazie
I grandi perdenti sono la Russia e l’Iran. Il collasso del regime siriano lascia l’asse anti occidentale delle autocrazie privo di un alleato minore ma essenziale nel quadrante strategico del Medio Oriente. Bashar al Assad in fuga da Damasco, senza una parola detta ai suoi connazionali, né a quelli fedeli né a quelli che per 14 anni hanno subito le sue mostruose violenze, diretto non si sa dove. Abbandonato dai suoi protettori e la parola è precisa, perché Mosca e Teheran da tempo avevano trasformato la Siria in un loro protettorato, e nulla di più. I soli che tenevano in piedi il suo regime con i loro aerei, i loro missili e i loro soldati sul terreno a contrastare oppositori di ogni tendenza, uniti dalla volontà di cancellarlo dalla storia del loro disgraziatissimo Paese. E che adesso sono nudi come l’imperatore della favola, palesati nella loro incapacità di salvare il loro uomo forte a Damasco che era ormai diventato debolissimo.
Si è già visto che il disastro in Siria viene da lontano. Viene dalle guerre che Vladimir Putin e l’ayatollah Khamenei hanno scelto di combattere in Ucraina e contro Israele, sottovalutando i loro nemici e sovrastimando la loro forza militare e politica. Il «Paese che non esiste» perché inventato da Lenin, guidato da un ex attore alla guida di un popolo immaginario (così afferma Putin) resiste in armi da oltre mille giorni alla superpotenza russa, cui ha inflitto oltre 750mila tra morti e feriti, e gode del sostegno di un Occidente che il Cremlino con le sue scelte aggressive ha più unito che diviso. L’«entità sionista», piccola e quasi persa in un mare islamico mediorientale, ha annichilito Hezbollah e Hamas e messo in evidenza il velleitarismo dell’Iran, che innescando da Gaza il 7 ottobre 2023 un incendio che avrebbe dovuto portare alla fine di Israele si ritrova invece con le spalle al muro.
Due conflitti, dunque, che Russia e Iran hanno avviato illudendosi di aprire un ciclo storico di vittorie, e che invece sta chiudendo almeno in Medioriente – quello del loro imperialismo straccione. Incapaci di salvare Assad, i russi si sono limitati a incredibili parole, col ministro degli Esteri Lavrov che ha chiesto pochi giorni fa che «i terroristi si fermino per non disturbare i siriani», sfuggendogli che i siriani erano stati assai più «disturbati» da decenni di atroci macellerie perpetrate dagli Assad con la loro attiva complicità. Il conto per entrambi va ben oltre la repentina perdita dell’asset siriano, e arriverà presto. Glielo allungherà la Turchia di Erdogan, che già chiarisce di voler svolgere un ruolo attivo nel nuovo contesto, «aiutando a garantire la sicurezza in Siria».
La Russia si vedrà chiedere dal futuro governo di Damasco il ritiro dalle loro uniche basi navali ed aeree nel Mediterraneo e in caso di rifiuto non si vede come potrà impedire la loro presa manu militari. Putin, ridotto a sperare nella ragionevolezza di Erdogan, perderà anche il diritto di usare la Siria per trasferire uomini e armi in Medioriente d’intesa con Teheran.
L’Iran, da parte sua, perde con la Siria il ponte di terra con il Libano e verso le frontiere israeliane, verso cui ha avviato per anni, più ancora di Putin, militari e armamenti. Si frantuma il «fronte di resistenza» a guida iraniana contro Israele, e gli ayatollah dovranno ripensare in fretta le loro strategie, anche in vista dell’arrivo alla Casa Bianca di un Donald Trump che hanno ben ragione di temere.
Ma soprattutto, in Siria è accaduto esattamente ciò che i dittatori di Mosca e di Teheran temono di vedere in casa propria. Folle entusiaste finalmente libere di scatenarsi contro i simboli di un regime odiato e che stava in piedi solo con la violenza. Cittadini che entrano increduli nella lussuosa residenza privata degli Assad e contemplano il lusso sfrenato che veniva tenuto nascosto ai loro occhi.
Inevitabile il paragone con quanto avvenne a Kiev nel 2013, quando Viktor Yanukovic, il presidente-pupazzo che Putin aveva tentato di imporre con elezioni truccate, dovette scappare a Mosca lasciandosi alle spalle una residenza privata la cui pacchiana opulenza ricordava quella del narcotrafficante colombiano Pablo Escobar.
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