“La Fabbrica delle Ragazze” di Ilaria Rossetti
Roma, 4 Giugno 1944 – 4 Giugno 2025. Per non dimenticare
«Quel giorno mio padre vide i soldati fermi all’Arco di Travertino.».
«Qualcuno pensava che finalmente fossero gli americani.».
«Qualcuno pensava che fossero ancora i tedeschi.».
«Qualcun altro, temeva che fossero tedeschi travestiti da americani.» (Ascanio Celestini, «Scemo di guerra», 2005)
La data ufficiale della liberazione di Roma dall’occupazione nazifascista è quella del 4 Giugno 1944. Le cronache del Lunedì 5 Giugno successivo raccontano, però, che quel giorno, a Roma, ancora si combatteva e ci furono ancora caduti partigiani.
Le cronache raccontano poi che il Generale americano Mark Wayne Clark, arrivato in città a bordo di una Jeep modello Willys – come quelle che vedremo spesso nei film di guerra, made in USA negli anni ’50 e 60 del ‘900 – sbagliò strada e invece di ritrovarsi, con le sue truppe, a Piazza Venezia, sotto il famoso balcone, arrivò a Piazza San Pietro. Lì, un sacerdote, che conosceva l’inglese, lo rimise sulla retta via.
Intanto, il giorno prima, la Domenica 4 Giugno 1944, 271esimo ed ultimo, giorno di occupazione nazifascista della città – come annota Cesare De Simone nel suo “Roma, Città Prigioniera” (Mursia, 1994) – «A Porta Maggiore, un gigantesco MP americano, in piedi su una Jeep, dirige il traffico delle autocolonne della Quinta Armata che salgono dalla Casilina, smistandole su varie direzioni, con larghi movimenti del manganello, lungo e bianco.». «Si chiama Jim Delaway, è un Indiano Apache del Nuovo Messico.».
“Il tempo passa e va, / lontano fuggirà, / portando via con sé l’amor, / soltanto la tristezza in cuor resterà. // (“As Time goes bye”, “Mentre il tempo Passa”, dalla colonna sonora del Film “Casablanca”, 1946)
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La fabbrica maledetta
Una domanda per cominciare: “E perché le guerre quando finiscono non finiscono mai per tutti?”.
Se non fosse stato per quel botto pazzesco e per quella carneficina di vite, di ormai 117 anni fa, nessuno avrebbe mai inteso parlare di Castellazzo, piccola Frazione del Comune di Bollate, in Provincia di Milano (1.440 abitanti oggi).
Se non fosse stato per quella guerra mondiale (la Prima) quelle 59 donne (alcune giovanissime, una addirittura 13enne), quelle 59 operaie – morte senza un grido (ché i morti sul lavoro non urlano) – non sarebbero state uccise e quella Fabbrica, la Fabbrica maledetta, la “Fabbrica delle Ragazze”, come l’avevano soprannominata, dato che ci lavoravano più di 1.500 donne, non sarebbe saltata per aria, meglio non sarebbe mai nata.
Quella Fabbrica – la franco-svizzera Sutter & Thévenot, Fabbrica di munizioni, bombe e petardi incendiari – era stata aperta il 23 Ottobre del 1916. Il posto scelto era ideale per farci uno Stabilimento di produzioni militari perché si trovava lontano dalla città, vicino ad una Linea ferroviaria (la Milano-Saronno) e ad una Fornace (la Fornace Bonelli, i cui mattoni serviranno a costruire i Capannoni e gli altri Edifici della Fabbrica, in tutto più di 40). Un luogo, dunque, fuori mano e per questo difficilmente soggetto a bombardamenti o attacchi aerei del nemico austro-ungarico e tedesco.
Per la gente di Castellazzo di Bollate poi, con quella Fabbrica, pareva fosse piovuta la manna dal cielo. Trovare lavoro di quei tempi, tempi di guerra (ormai per noi da quattro anni) non era facile, ma la guerra voleva il suo “sforzo bellico” e nelle Fabbriche di guerra il lavoro c’era, eccome se c’era, soprattutto per le donne – ché gli uomini erano quasi tutti al fronte a farsi ammazzare nel fango delle trincee e sul filo spinato dei reticolati, in inutili quanto sanguinosi assalti all’”arma bianca” – donne, ma anche ragazzine, che arrivavano in Fabbrica in bicicletta da Castellazzo, da Bollate e da Garbagnate, altri paesini limitrofi a Castellazzo.
Dunque, quella Fabbrica era arrivata proprio al momento giusto: una manna dal cielo, appunto. Una manna soprattutto per le donne che avevano mani piccole e si muovevano velocemente lungo le diverse linee di lavoro e poi erano molto più disciplinate degli uomini. Era anche per quello che la maggior parte del Personale della Fabbrica era femminile (ma i dirigenti e i guardiani no, quelli erano tutti uomini).
E fu per quello che, quando la Fabbrica esplose (alle 13,50 del 7 Giugno 1918, un Venerdì) tutte le 59 vittime furono donne e anche tra i 300 feriti il numero delle donne sarà in netta maggioranza.
Dopo quell’esplosione, la produzione di munizioni, bombe e petardi incendiari della Fabbrica si era fermata solo il 9 Giugno, per il funerale delle vittime. Poi era ripresa, come se niente fosse successo (ché la guerra – segnatamente la Battaglia del Solstizio o Seconda battaglia del Piave, 15-24 Giugno 1918 – era alle viste e bisognava continuare a rifornire il fonte di munizioni). Anche lì dunque, in quel pezzetto di terra lombarda lontana dalla linea del fuoco, la guerra era, alla fine, arrivata, aveva preteso le sue vittime e se l’era prese.
Maledetta la guerra! Ma maledetta anche la capacità dell’uomo (inteso come genere umano) di dimenticare velocemente gli accidenti della vita, ché quella storiaccia rimarrà per molto tempo, anche dopo la fine della guerra mondiale (la Prima, ma anche la Seconda) dimenticata, come fosse stata nascosta, a forza, nelle soffitte della Memoria degli e delle abitanti di Castellazzo di Bollate.
Ad aiutare quella “rimozione veloce e collettiva” dai cassetti della Memoria fu anche il fatto che la Fabbrica, nel Febbraio del 1919, ovvero qualche mese appena dopo la fine della guerra, venne abbattuta e l’unico documento rimasto di quella Fabbrica della morte saranno le foto scattate, nel 1917, dal fotografo Luca Comerio, che documentavano il lavoro delle operaie e che saranno, molti anni dopo a cura del Comune di Bollate, montate in una Mostra intitolata “La Fabbrica Dimenticata” (alcune di quelle fotografie le trovate in queste pagine).
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Di quella Fabbrica della Morte e di quell’esplosione assassina, aveva scritto, nel 1930, un certo Ernest Hemingway (1899-1961) di professione scrittore – un americano che da giovane, aveva 19 anni, in quegli anni di guerra era stato volontario come conducente delle Ambulanze della Croce Rossa americana arrivate nel 1918 in Italia per prestare soccorso.
E il giovane Ernest Hemingway appena arrivato in Italia da Parigi, esplosa che fu la Fabbrica di Castellazzo, venne spedito con la sua Ambulanza, proprio in quel, paese. Era stato mandato a recuperare i poveri resti di quelle 59 vittime e il tremendo shock che aveva subito lo aveva raccontato per iscritto. Una cosa, scrivere, che gli riusciva benissimo (l’altra era bere).
Ma chissà se a Castellazzo di Bollate avevano letto quel Racconto, intitolato “Una storia naturale dei morti”, inserito poi nel Volume intitolato “I quarantanove racconti”, pubblicato per la prima volta a New York nel 1938. Dunque, lì era finito il Racconto della Fabbrica esplosa, infilato in quel Volume di Racconti insieme ad altre 48 storie.
«Quanto al sesso dei defunti, è un dato di fatto che ci si abitua talmente all’idea che tutti i morti siano uomini che la vista di una donna morta risulta davvero sconvolgente. L’improvvisata sala mortuaria sembrava un vero carnaio; alle ore 22 il Parroco si trovava ancora una volta presso tanta desolazione per constatare de visu la morte di qualcuna delle sue giovani parrocchiane. Ricordo che dopo aver frugato molto attentamente dappertutto per trovare i corpi rimasti interi ci mettemmo a raccogliere i brandelli». (Ernest Hemingway, “Una Storia Naturale dei Morti”, 1938)
Dopo quelle pagine diremmo così “americane”, la storia di quelle 59 operaie morte per la guerra era ripiombata nel dimenticatoio fino al 2010, quando Padre Egidio Zoia, Parroco della Chiesa di San Guglielmo al Castellazzo, impegnato nella ricerca di Documenti storici, scoprirà, nell’Archivio della Parrocchia, l’elenco completo dei nomi e delle date di nascita di quelle 59 vittime operaie ed un enorme stendardo, creato per il funerale di chi, in quello scoppio tremendo, aveva perso la vita.
“All’ingresso del cimitero del Paese c’è una stele commemorativa,” – dirà il Prete – “ma nessuno ne conosceva il significato». “La fabbrica è stata smantellata nel 1919, dopo una seconda esplosione in cui però sembra non vi siano state vittime. Di quell’edificio non è rimasto nulla, se non la centralina che serviva per fornire elettricità alla fabbrica. Nessuno sapeva dell’esplosione. Quello stendardo mi aveva colpito, così ho iniziato a cercare”.
Veramente, nel 2018, c’era stata la commemorazione delle vittime dell’esplosione di cento anni prima, Sindaco di Bollate in testa. Ma poi tutto – intorno a quella strage sul lavoro, in prevalenza femminile – era tornato a sparire, meglio a nascondersi alla Memoria non solo dei castellazzesi, fino ai giorni nostri.
Esattamente fino al Gennaio del 2024, quando quella storiaccia è diventata un Romanzo – “La Fabbrica Delle Ragazze, 1918, esplosione alla Sutter e & Thévenot, un episodio dimenticato”, scritto da Ilaria Rossetti – lodigiana, Classe 1987, già vincitrice, nel 2007, del Premio Letterario Campiello con il Racconto “La Leggerezza del Rumore” (Marsilio) e attualmente Insegnante alla Scuola Holden di Torino – e mandato in Libreria dalla Casa Editrice Bompiani. Il Libro che oggi propongo alla vostra attenzione e alla vostra voglia di leggere.
Ilaria Rossetti, “La Fabbrica delle Ragazze”
Al centro di questo romanzo ci sono le ragazze: con i capelli al vento di chi attraversa la campagna in bicicletta, con le guance scavate perché il cibo scarseggia ma gli occhi ardenti di chi ha tutta la vita davanti, con le dita sottili che sono perfette per costruire le munizioni. Infatti, durante la Prima guerra mondiale, la fabbrica Sutter & Thévenot sceglie proprio la campagna lombarda per installare, a Castellazzo di Bollate, uno degli stabilimenti dove centinaia di donne giovanissime fanno i turni per rifornire i soldati al fronte.
E poi ci sono anche loro, i ragazzi, allontanati dalle famiglie e dal lavoro per andare a far carne da macello nelle trincee, con i cuori pieni di nostalgia e pronti ad accendersi quando arriva una cartolina vergata da una grafia femminile, come succede a Corrado che per amore arriva alla diserzione… Ma è il 1918, la Storia sta accelerando: è così che Emilia, la piscinìna, la mattina del 7 giugno saluta i genitori senza sapere se li rivedrà, perché una grave esplosione investirà la fabbrica causando decine di vittime, quasi tutte donne e bambine.
La produzione però riprende subito, in tempo di guerra le vite umane contano ancora meno del solito. È così che Corrado e il padre di Emilia, Martino, con sua moglie Teresa dovranno accettare che la realtà è più dura dei sogni e il tempo scorre indifferente come il Seveso sotto il grande cielo.
Con una lingua intensamente poetica e venata di dialetto senza mai indulgere nella maniera, Ilaria Rossetti racconta un episodio quasi dimenticato e più che mai attuale di lavoro femminile e morti bianche: prima di lei, fu Ernest Hemingway a parlarne in uno dei Quarantanove racconti. In queste pagine la storia vera dell’esplosione della fabbrica Sutter & Thévenot di Bollate, che uccise cinquantanove tra operai e operaie, da testimonianza si fa romanzo e attraverso le voci di tante piccole vite non smette di chiederci ascolto.
(Fonte:https://www.bompiani.it/catalogo/la-fabbrica-delle-ragazze-9788830118959)
Il Romanzo della Rossetti è l’ennesima prova provata che la Storia si può anche fare Romanzo per essere conosciuta. Ma il Romanzo della scrittrice lodigiana non è solo Storia è soprattutto una forte denuncia delle morti sul lavoro che spesso la cronaca chiama “incidenti sul lavoro”, così come fu classificata l’esplosione della Fabbrica di Castellazzo di Bollate.
Ma in quel caso la “colpa” era stata della guerra, che aveva permesso la costruzione di quella Fabbrica, in cui le norme di sicurezza erano, di fatto, inesistenti a vantaggio della produzione di strumenti di morte.. Negli altri casi di morti sul lavoro, invece, la colpa è stata – ed è – della nostra Indifferenza che ci fa registrare quelle morti come “morti bianche” (?!?) e poi ce la fa rapidamente dimenticare, mentre “il tempo passa”, come ci ricordava una canzone del Film “Casablanca” (di Michael Curtiz, 1946) nel tempo diventata famosa.
Nel primo trimestre del 2025, gli incidenti mortali sul lavoro sono stati 210 tra cui quelli di 10 donne, con un aumento del 10% rispetto all’analogo periodo del 2024.
Scrive nel Romanzo la Rossetti, riguardo la verità delle cose che troppo spesso, velocemente, seppelliamo nel nostro personale dimenticatoio: “La verità, dalle cose, riaffiorava sempre. Una pietra miracolosa che non va a fondo: a lanciarla ci si prova tutti, seguendo il tonfo nell’acqua e la certezza che stia precipitando verso gli abissi; eppure quella risale a poco a poco, contro le leggi della natura, fino a spuntare dalla superficie.”. Fermiamoci solo un attimo, please, a meditare su queste righe.
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