Viaggi e turismo

La discreta ricercatezza dei nuovi e più intriganti ristoranti di Manhattan

«Ah, quel posto, me lo raccomandi?»: a New York è tutta una questione di buzz, di passaparola. E non c’è cosa più bella di sorprendere i newyorkesi stessi consigliando il ristorante del momento, in una città dove le nuove aperture sono incessanti e le mode gastronomiche si evolvono più veloci di una corsa in metro. Noi siamo appena tornati a Manhattan per scoprire e provare per voi alcune delle migliori novità.

Tra Tribecca e Soho

La prima si chiama Kiko e si trova a Hudson Square (307 Spring Street), ex quartiere industriale – stretto tra Tribeca, Soho e Greenwich Village – che sta decisamente cambiando volto. Artefici di questo successo sono Alex Chang e Lina Goujjane, marito e moglie, lui chef e lei responsabile della sala e di tutta l’offerta beverage. L’ingresso è discreto, con una piccola insegna, c’è un salottino (ma anche il bancone del bar) dove potete accomodarvi sorseggiando un Kiko Martini, twist on classic con sake, yuzu e lattuga di mare. L’atmosfera è vibrante, rumorosa il giusto, l’ambiente caldo e soffuso. È riduttivo definire “asian fusion” lo stile di Chang, perché le influenze nei piatti sono molteplici. Fa da apripista il Dungeness crab, cioè un granciporro servito nel suo carapace con riso per sushi e foglie di alga nori con cui approntare dei roll fai da te, seguito da un’Insalata di agrumi, sesamo nero, radicchio tardivo e garrotxa (un tipico formaggio catalano). Poi ordinate quello che è già (giustamente) un signature, il Riso croccante con astice del Maine, peperoncino, curry rosso e basilico e – se avete ancora fame – il delizioso Secreto di maiale Berkshire con ananas marinata e speziata. Oltre ai drink c’è una bella e originale carta dei vini, dove troverete sicuramente la bottiglia che fa per voi.

A Chinatown

L’altra novità sulla bocca di tutti è Bridges a Chinatown, più precisamente al 9 di Chatman Square. Con i suoi divanetti neri, il tovagliato bianco, il legno scuro e le pareti “greige”, ha un mood un po’ anni Novanta che piace molto all’high society di Downtown che lo popola ogni sera. La cucina, guidata da Sam Lawrence (già chef del celebre Estela), è all’insegna di un’opulenza discreta – l’equivalente di un cappotto di vigogna, per intenderci – e di un certo rigore estetico. I piatti hanno echi europei, ma sono ispirati anche alle tradizioni culinarie del quartiere. Ecco allora la Crema di ricci di mare con gamberi, la torta Comté con tartufi del Perigord, i Dumpling di anguilla affumicata con rafano, il Rombo con vongole e Pernod e l’Anatra arrosto con foglia di broccoli e peperoncino. Non è facile trovare un tavolo, ma la zona bar – con una fila di sgabelli al bancone e un’atmosfera decisamente più informale – è dedicata ai walk-in e dunque offre qualche chance in più.

Sosta a NoMad

Per il terzo e ultimo suggerimento ci spostiamo a NoMad (che sta per North of Madison Square Park), il quartiere dove si trovano molti degli alberghi più chic di Manhattan. Tra questi c’è The Fifth Avenue Hotel, nuova (ha aperto poco più di un anno fa) e sofisticata residenza dallo stile eclettico e dalla palette singolare, che custodisce al suo interno il Café Carmellini, primo progetto che porta il nome del prolifico chef Andrew Carmellini – lo stesso di The Dutch e Locanda Verde, tra gli altri locali. Non è un caso che da questa cucina a vista escano proposte dal tocco più nostalgico e personale, che si rifanno alle radici italiane e alle esperienze passate dello chef. Da non perdere la Quaglia e mandarino, i Tortelli di anatra, il Black bass in brodetto di mare e il Piccione en croute. Tra divanetti in velluto blu zaffiro, poltroncine di pelle color mostarda, specchi Art Déco, scenografici lampadari e due grandi alberi, gli interni celebrano lo splendore della Gilded Age. Scegliete un tavolo al secondo piano per avere una visuale privilegiata sulla sala: vi sembrerà di stare all’opera, ma senza bisogno del binocolo.


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