La crescita non si ferma ma aumentano i rischi
Senza l’esperienza degli ultimi anni, con l’economia capace di resistere a ogni turbolenza, vi sarebbe di che preoccuparsi. Le tensioni geopolitiche e lo spettro dei dazi sono le principali minacce che incombono sull’economia mondiale e che rischiano di portare a scelte di risparmio e investimento errate. Perché, a fronte di un’inflazione che da ultimo ha dimostrato di non essere ancora domata, lasciare i risparmi fermi significa accettare un impoverimento sicuro.
Tra settembre e novembre, il dato tendenziale è raddoppiato in Italia, arrivando a +1,4%, mentre nel totale dell’Eurozona si è arrivati al 2,3%. In queste condizioni, il mercato continua a ritenere che il prossimo giovedì (12 dicembre) la Banca centrale europea taglierà i tassi ufficiali, ma a questo punto è probabile che si limiti a un quarto di punto anziché ridurre il costo del denaro dello 0,50%, come stimato dalla maggioranza degli operatori fino a poco tempo fa. Considerato che gli effetti delle politiche monetarie si avvertono sull’economia reale non prima di otto-nove mesi, la spinta alla crescita nell’Eurozona sarà limitata nel corso del prossimo anno.
“Allacciate le cinture”. Si può sintetizzare così il messaggio che emerge dall’ultimo outlook di S&P, che per il nuovo anno si attende ancora un’economia in crescita, ma con il rischio di una maggiore volatilità. In particolare, l’anno dovrebbe aprire con un buon ritmo, poi molto dipenderà dalle politiche di Trump. Probabile che adotti subito qualche misura a impatto, ma che difficilmente si lascerà andare a interventi inflattivi, dato che proprio il rapido incremento del costo della vita tra il 2021 e il 2023 è stata tra le ragioni che hanno portato tanti americani a non riconfermare la fiducia ai democratici nell’ultima tornata elettorale. Negli Stati Uniti l’inflazione non è più sui livelli registrati un anno fa, ma il +2,6% di ottobre non lascia dormire sonni tranquilli. Probabile, dunque, che sui dazi all’import (che inevitabilmente fanno crescere il prezzo dei beni interessati), il neopresidente si muova con una certa prudenza.
Secondo gli analisti di S&P, al momento l’economia si conferma resiliente a livello globale e prosegue nel suo atterraggio morbido. Dal report dell’agenzia di rating emerge che gli Stati Uniti dovrebbero continuare a crescere più dell’Europa anche nel nuovo anno, con la Cina in progresso, ma ancora zavorrata dagli effetti della crisi del settore immobiliare. Proprio verso Pechino dovrebbero essere indirizzati i principali interventi tariffari dell’amministrazione Trump, per cui lo scenario potrebbe cambiare nei mesi a venire.
Il segno più domina anche nelle previsioni del Fondo monetario internazionale, che ha da poco confermato al 3,2% le stime di crescita per l’economia mondiale nell’anno che sta per finire e nel prossimo. Una crescita contenuta, ma che non si ferma, anche se le tensioni geopolitiche creano preoccupazione. Nell’area dell’euro, sostiene l’Fmi, la crescita sembra aver toccato il punto più basso nel 2023 (0,4%). Per quest’anno si prevede una piccola accelerazione allo 0,8%, seguita dall’1,2% nel 2025, grazie al rafforzamento della domanda interna. L’aumento dei salari reali dovrebbe incentivare i consumi e il taglio dei tassi dovrebbe sostenere gli investimenti.
Quanto all’Italia, la domanda interna dovrebbe beneficiare del Pnrr e la crescita prevista del Pil (allo 0,7% nel 2024 e allo 0,8% nel 2025) è sostanzialmente in linea con le stime precedenti, a conferma di una congiuntura debole. Pesano l’incertezza degli indici di fiducia e anche le difficoltà che stanno caratterizzando la Germania, il nostro primo partner commerciale, che chiuderà il 2024 in calo o – al massimo – sui livelli dello scorso anno. “L’Italia, sta facendo relativamente bene in questo momento, con una crescita molto vicina al suo potenziale”, ha dichiarato di recente il capo-economista dell’Ocse, Alvaro Pereira. E questo, se da una parte conferma la resilienza della nostra economia, dall’altra evidenzia come a livello strutturale ormai siamo un Paese dal passo lento. Si sperava molto nella capacità del Pnrr di sciogliere i nodi che si frappongono a una crescita più vigorosa, ma fino a questo momento le risorse messe in campo non sembrano aver mantenuto le premesse. Così lo stesso Pereira ha sottolineato il peso “dei vincoli normativi, talvolta troppo elevati” ed evidenziato l’importanza delle riforme per aumentare produttività e competitività.
Tornando alle stime del Fondo monetario internazionale, gli Stati Uniti dovrebbero chiudere con un Pil in crescita del 2,8%, per poi rallentare il passo al 2,2% nel 2025, in presenza di un probabile inasprimento della politica fiscale e del raffreddamento del mercato del lavoro. Il Giappone sembra destinato a rimanere nel limbo dell’1% (0,3% nel 2024 e 1,1% nel 2025), la Cina dovrebbe chiudere il 2024 con +4,8% e il Brasile al +3,0%. Primeggia l’India, la cui crescita si dovrebbe mantenere quest’anno e il prossimo intorno 6,5%. Tutto questo mentre continua a crescere il debito pubblico, nelle economie più mature, così come nei Paesi emergenti. Una minaccia che incombe sulla crescita e che rischia di farsi più gravosa in caso di nuova accelerazione dell’inflazione.
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