La Consulta non può intervenire sulla legge iure sanguinis
La Corte Costituzionale non può limitare l’acquisizione della cittadinanza per discendenza, attraverso una sentenza manipolativa che scelga fra più possibili opzioni, connotate da un ampio margine di discrezionalità, con incisive ricadute a livello di sistema. La Consulta, con la sentenza 142, ha considerato inammissibili le questioni proposte dai tribunali remittenti di Bologna, Roma, Milano e Firenze che sollevavano dubbi su un possibile contrasto con la Carta della legge 91/1992, per la parte in cui stabilendo che è cittadino per nascita il figlio di padre o di madre cittadini, non prevede alcun limite all’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis. La richiesta era, in sintesi, di introdurre requisiti aggiuntivi, per evitare il moltiplicarsi di cittadini italiani, riconosciuti come tali, anche se nati all’estero e cittadini di un altro Stato, solo in virtù dell’esistenza di un antenato italiano, in assenza di qualunque collegamento con l’ordinamento italiano. Questo in una situazione particolare come quella italiana caratterizzata, specialmente nel secolo trascorso, da un massiccio fenomeno migratorio in uscita.
Nello specifico, la Corte ha rilevato che i giudici rimettenti non hanno contestato, in generale, l’idoneità del vincolo di filiazione a giustificare, alla luce dei principi costituzionali, l’acquisizione della cittadinanza. Ma hanno dubitato che sia sufficiente la sola discendenza da un cittadino o da una cittadina italiani per acquisire lo status.
La legge 36 del 2025
Per il giudice delle leggi, però, la molteplicità e la genericità delle variabili su cui si fondano i dubbi di legittimità costituzionale sollevati e la varietà di scelte discrezionali che dovrebbe effettuare la Corte, nell’ambito di una molteplicità di opzioni che hanno significativi riflessi di sistema, hanno comportato l’inammissibilità della maggior parte delle questioni di legittimità costituzionale proposte. Inammissibili, in particolare, le censure relative agli articoli 1, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione ai vincoli imposti dal diritto dell’Unione europea. Nè è stata indicata dai giudici del “rinvio” la norma internazionale violata che comporterebbe il mancato rispetto degli obblighi.
Per la Consulta è poi ininfluente, ai fini dei ricorsi proposti ai giudici remittenti da cittadini stranieri, l’intervento messo in atto dal legislatore, durante il giudizio, con la legge 36/2025 entrata in vigore il 28 marzo 2025. La norma, introducendo l’articolo 3-bis alla legge del 1992, ha cancellato l’automatismo della cittadinanza per chi nasce in un altro Stato di cui è cittadino. Salvo specifiche condizioni, come, ad esempio, la presentazione della domanda entro il 27 marzo 2025 o in caso di nascita o residenza di un genitore cittadino in Italia. Dunque è chiaro che tutte le controversie oggetto dei giudizi principali, introdotte con domande giudiziali presentate prima del 27 marzo 2025, restano nel raggio d’azione della legge 91/1992.
Il giudice delle leggi nella sentenza ha comunque avuto modo di ricordare che la Costituzione richiama l’idea di cittadinanza quale appartenenza a una comunità che ha comuni radici culturali e linguistiche, ma, al contempo, disegna una comunità aperta al pluralismo e che tutela le minoranze.
Source link