La colonia inconsapevole
Il rapporto tra Usa ed Europa è una questione troppo seria per affidarla alla propaganda. Lasciamo allora da parte le intemerate di chi il giorno prima declama che, con l’attuale governo, l’Italia non conta più niente nel mondo e il giorno dopo, al contrario, denuncia come l’accordo sui dazi sia tutta “colpa” di Giorgia Meloni, troppo accondiscendente nei confronti di Trump! Ma lasciamo anche da parte le reazioni di chi si meraviglia (tendenza Alice) del fatto che la forza dell’Europa sia assai blanda, come se fosse una novità. Sorprende piuttosto scoprire la nascita di un asse Macron-Orbán-Schlein contro la von der Leyen rea di essersi fatta “mangiare” dal tycoon. Un vero paradosso: anche i più accesi antisovranisti sembrano lamentarsi che, su quella sedia in Scozia, non ci fosse un simil-Trump capace di esibire il “coraggio” (l’irresponsabilità?) di aprire una durissima guerra commerciale con gli Usa. Ma tant’è.
L’accordo sui dazi non è giuridicamente vincolante e non è ancora ufficiale. Dunque, la trattativa non è affatto conclusa. Ma, in attesa di sciogliere il puzzle delle esenzioni e di capire il destino della web tax, è il caso di porsi una domanda cruciale: l’Europa vuole sfruttare l’occasione offerta, prima dall’accordo Nato e ora da quello sui dazi, per riflettere sul proprio futuro, oppure preferisce abbandonarsi alle dispute di campanile? Ebbene, scegliere quest’ultima strada sarebbe davvero esiziale: perché siamo entrati in un’inedita stagione della storia mondiale che pretende una vera e propria “rifondazione europea”. Politica, industriale, militare. E che, inevitabilmente impone una ridefinizione del rapporto con gli Usa. Ciò che pretende ragionamenti, non propaganda.
Da quando ottanta anni fa gli Stati Uniti hanno aiutato l’Europa, con grande sacrificio di vite, a liberarsi dal nazifascismo, le relazioni transatlantiche hanno sempre seguito lo stesso copione, con due prevalenti atteggiamenti: 1) un’inevitabile subordinazione politica e militare; 2) una sostanziale ostilità per la cultura politica americana. Un binomio che ha finito per creare (in specie nel mai sopito spirito di revanche francese) uno strisciante sentimento di superiorità. Noi europei siamo lo spirito del mondo, loro cowboys arricchiti, superficiali e pragmatici. Ciò che ha sempre trattenuto l’Europa dall’assumersi le medesime responsabilità politico-militari degli americani, delegando volentieri a Washington la difesa di ogni sicurezza planetaria. Insomma, l’Europa si è comportata come una contessa decaduta che non ha mai smesso, però, nonostante tutto, di ritenersi ancora, per quanto usurpata, la vera signora del pianeta. Non stupisce, dunque, che alla fine sia arrivato il tempo nel quale Washington decretasse “game over” e ci chiedesse il conto. Ecco perché, a ben vedere, l’era Trump chiude di fatto la lunga storia iniziata con la vittoria della Seconda guerra mondiale.
E, con essa, la più grande sconfitta dello spirito europeo. Fino al Novecento, infatti, era stata l’Europa la guida del mondo. Da Pericle a Bismarck. L’avvento della società di massa è stata, invece, la sua débâcle. In Europa la risposta a tale novità è stata la dittatura: Hitler, Stalin, Mussolini. Nella giovane America la risposta, al contrario, si chiamò Roosevelt. Di là si parlava di “nuove albe”. Da noi si affermavano albe tragiche. Nel secondo dopoguerra abbiamo poi, sulla scorta della lezione rooseveltiana, costruito efficienti Stati sociali. Finché, da ultimo, le cose si sono fatte più complicate: dalle crisi fiscali degli Stati all’attuale esplosione dello sviluppo tecnologico e all’imprevista nuova “insicurezza” del pianeta. Decretando la necessità di immaginare una nuova Europa.
È insomma arrivato il momento di rovesciare lo schema del rapporto con gli States. 1) Conquistare una chiara autonomia politica e militare, relegando negli archivi l’antica subordinazione. 2) Dismettere il vecchio e infondato “complesso di superiorità” predisponendosi a un nuovo rapporto politico e commerciale. Il nostro tradizionale “soft power” (modello von der Leyen?) può convivere con il riconosciuto “hard power” di Washington. “Gemelli diversi” che possono, in modo complementare, governare il pianeta. L’unità dell’Occidente resta la stella polare. Ma, certo, l’Europa deve saper ridisegnare il suo ruolo nel mondo. A tal scopo, però, le dispute di campanile non servono a nulla.
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