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La cardiomiopatia ipertrofica e i protocolli tarati sugli uomini che rendono difficile individuarla nelle donne

Un nuovo studio, realizzato dall’University College di Londra e pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology ha scoperto che esiste una malattia cardiaca che non viene diagnosticata tempestivamente nelle donne perché i protocolli ufficiali usati dai medici sono obsoleti e si basano su studi risalenti agli anni ’70 che non tengono conto di differenze biologiche di genere e dimensioni corporee.

Si tratta della cardiomiopatia ipertrofica, una condizione genetica grave e potenzialmente mortale in cui la parete muscolare del cuore si ispessisce, rendendo più difficile pompare il sangue nel corpo. Colpisce circa una persona su 500 e due su tre a cui viene riscontrata sono uomini.

Secondo i ricercatori britannici però le donne avrebbero in verità più o meno la stessa probabilità di essere colpite dalla patologia ma sembrerebbero esserlo meno perché in molti casi in loro non viene individuata, a causa di una metodologia errata.

La scoperta di questa malattia avviene mediante una serie di esami tra cui il principale è la misurazione dello spessore della parete del ventricolo sinistro. Negli ultimi cinque decenni, la soglia per la diagnosi è stata di 15 mm per tutti: se il muscolo è più spesso il paziente è considerato probabilmente affetto da cardiomiopatia ipertrofica, altrimenti no.

Un metodo che la nuova ricerca ha scoperto essere inadeguato perché non considera le differenze biologiche legate al genere e delle dimensioni corporee generalmente diverse tra uomini e donne, che incidono e non poco sul modo in cui la cardiomiopatia ipertrofica si manifesta.

Come si è svolto lo studio

Gli studiosi britannici hanno reclutato 1.600 pazienti con cardiomiopatia ipertrofica ed esaminato la loro condizione utilizzando un nuovo metodo che avvalendosi dell’intelligenza artificiale ha effettuato la lettura di migliaia di scansioni cardiache tenendo in considerazione le loro caratteristiche e differenze biologiche.

Utilizzando questo protocollo estremamente preciso sono stati in grado di determinare qual è lo spessore normale della parete del ventricolo per persone di età, sesso e dimensioni diverse e quando si presentano anomalie. Così facendo l’identificazione della cardiomiopatia ipertrofica è aumentata di 20 punti percentuali.

Inoltre, si è riscontrata anche una suddivisione più equa tra uomini e donne, con le donne che rappresentano il 44% dei soggetti identificati, a dimostrazione che molte fino ad oggi siano sfuggite alla diagnosi.

Il ricercatore clinico dell’University College di Londra e dell’ospedale St Bartholomew, Hunain Shiwani, che ha guidato lo studio, ha spiegato al Guardian perché la soglia attuale standard dei 15 mm deve essere riconsiderata. «Avere lo stesso limite per tutti, indipendentemente da età, sesso o dimensioni corporee, ignora completamente che lo spessore della parete cardiaca è fortemente influenzato da questi fattori – ha affermato. – La nostra ricerca dimostra che un approccio personalizzato migliora l’accuratezza della diagnosi». Un passo avanti enorme considerando che la cardiomiopatia ipertrofica è una condizione grave, potenzialmente letale, e una diagnosi mancata può fare la differenza.

Quali campanelli d’allarme?

Ma quali sono i campanelli d’allarme che potrebbero indurre a sospettare la presenza di questa patologia? Secondo l’Istituto Superiore di Sanità i sintomi sono generalmente simili a quelli di altre malattie del cuore e comprendono: soffio al cuore, ridotta resistenza allo sforzo, difficoltà a praticare esercizio fisico, dolore toracico, irregolarità del battito del cuore – a volte accompagnati ad offuscamento della vista – svenimento e perdita dello stato di coscienza.

L’esame principale per accertare la cardiomiopatia ipertrofica è l’ecocardiogramma ma a seconda della casistica si può ricorrere anche a cateterismo cardiaco o risonanza magnetica.


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