la birra artigianale 100% italiana che può essere davvero un orgoglio per la Sardegna
Abbattere i costi del malto dell’Isola, produrre una birra artigianale dalla filiera virtuosa, 100% italiana, e venderla a un prezzo competitivo: cos’è e cosa rappresenta Bionda Sarda.

In questo Vinitaly appena concluso c’è stato spazio anche per la birra artigianale, in particolare quella sarda, protagonista di un progetto di birra a filiera completamente italiana. Non si tratta della prima birra con materie prime 100% italiane in assoluto, quel primato spetta a Teo Musso, fondatore di Birra Baladin, né della prima birra con ingredienti totalmente sardi, prodotta invece qualche anno fa nel birrificio Marduk di Irgoli in provincia di Nuoro.
Ma quello dietro “Bionda Sarda” è un piano a più ampio respiro, di cui vi avevamo raccontato le premesse circa un anno fa e che è riuscito in un’impresa assai ardua: far unire le forze ad agricoltori e produttori creando un sistema virtuoso in cui tutti ci guadagnano, cliente finale compreso, e promuovendo la birra di territorio tramite un format replicabile anche in tutte le altre regioni d’Italia.
Abbiamo parlato con Carlo Schizzerotto, direttore del Consorzio Birra Italiana, che proprio alla fiera di verona ha presentato questa iniziativa a Casa Coldiretti alla presenza del presidente Ettore Prandini, del segretario generale Vincenzo Gesmundo, del presidente del Consorzio Birra Italiana Teo Musso, del presidente della Commissione Agricoltura della Camera Mirco Carloni, del direttore Coldiretti Sardegna e Capo Area Economica Coldiretti Luca Saba, di Antonio Zanda del Birrificio Quattro Mori.
Il progetto “Bionda Sarda”
Schizzerotto racconta di come è nato il progetto: “i 22 birrifici sardi aderenti al nostro consorzio, pagavano il malto a prezzi molto alti, a causa delle difficoltà logistiche dell’isola. Abbiamo provato a migliorare la situazione con degli acquisti collettivi, ma poi ci siamo chiesti: perché non fare un malto tracciato sardo?”
Idea ambiziosa, che ha richiesto un grande lavoro di preparazione: “Abbiamo contattato la Cooperativa Agricola Isola Sarda, e incontrato tutti i coltivatori di cereali iscritti all’associazione che ci hanno messo a disposizione 60 ettari per coltivare l’orzo distico per birra. Una coltura per cui abbiamo dovuto fare molta formazione, affidandoci a Vito Pagnotta, agronomo e tra i fondatori del Consorzio Birra Italiana, oltre che birraio a sua volta, presso il birrificio Serrocroce. Abbiamo dovuto affrontare molte difficoltà, inclusi siccità e incendi”. L’iniziativa ha richiesto e ottenuto il supporto della Regione Sardegna: “l’orzo distico per birra non riceve sussidi PAC come gli altri cereali, per cui per convincere i coltivatori si è reso necessario il sostegno della regione”.
A inizio di quest’anno il malto è arrivato finalmente nei birrifici, con la soddisfazione dei birrai che ne hanno apprezzato qualità organolettiche e resa produttiva. Mancava solo una birra collettiva, che rappresentasse tutto il progetto, e che parlasse di materie prime e di territorio, ad un pubblico più ampio possibile. Per questo serviva scegliere uno stile che fosse comprensibile al grande pubblico, ed individuare un sito produttivo con una produzione sufficiente per poterla anche proporre ad un prezzo competitivo: toccherà al birrificio 4 Mori di Guspini, nel Medio Campidano, e il giorno della cotta, in cui tutti gli aderenti al progetto si sono riuniti intorno a birra e specialità sarde, è diventato -comprensibilmente- una festa.
La remunerazione etica
Una celebrazione dovuta, perché la riuscita di questo progetto ha portato vantaggi a tutti gli attori della filiera. Continua Schizzerotto: “Siamo riusciti a corrispondere ai coltivatori una remunerazione etica, pagando 400 euro a tonnellata invece di 252, e abbiamo fornito ai birrifici malto allo stesso prezzo che avrebbero pagato in continente, senza i costi aggiunti per la logistica, creato gruppi d’acquisto per spuntare prezzi migliori su tappi, etichette, bancali e altri costi variabili, realizzando un prodotto che andrà sugli scaffali ad un prezzo contenuto, per rompere la diffidenza verso il prodotto artigianale”.
Ora però, bisogna affrontare l’elefante nella stanza: tutto questo progetto vuole contrastare lo strapotere di Ichnusa, vero? “Non è solo questione di contrastare Ichnusa, ma c’è un problema di appropriazione culturale. Si parla di territorio senza che di territorio ci sia nulla, né tra gli ingredienti né in etichetta, che viene prodotto un po’ ad Assemini ma anche a Comun Nuovo: olandesi con l’anima sarda (Ichnusa è un marchio del gruppo Heineken Ndr). Noi stiamo promuovendo il birraturismo in terra sarda, e più ingredienti prodotti in Sardegna significherebbero più terreni salvati dall’abbandono e dalla desertificazione”.
Il progetto “Bionda Sarda” sembra quindi essere stato un successo, e forte di quest’esperienza, il Consorzio Birra Italiana è già al lavoro per replicare il format in tutte le altre regioni italiane che vorranno investire in una birra di territorio.
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