la banana più buona e sostebile che stiamo ignorando
Perché mangiamo continuamente banane extraeuropee quando esiste una IGP dedicata a quelle spagnol? Alla scoperta del Plátano de Canarias IGP.
Non avete mai mangiato il vero sushi se non siete stati in Giappone e non conoscerete il sapore della Guinness finché non andrete a Dublino: a sentirselo ripetere viene voglia di acquistare biglietti aerei solo per il giusto di contraddirli, sti saccenti. Vi dirò, però, che dopo essere stata alla Hacienda La Rekompensa (Auras, sull’isola di Las Palmas) ho compreso cosa possa cambiare, nel gusto, tra una banana e una banana.
In tema di Cavendish, si intende, dacché le varietà di banano sono all’incirca mille e sempre di quella più esportata al mondo stiamo parlando: essa rappresenta, su per giù, il 50% della produzione globale. E non so quanti di noi, escludendo il platano fritto mangiato al ristorante peruviano, ne abbiano testate altre.
Il Plátano de Canarias IGP
Le Isole Canarie sono però riuscite, nell’ambito di quello che è forse considerato uno dei prodotti più comuni al mondo, a registrare un marchio dedicato alle banane prodotte nel proprio arcipelago. Trattasi del Plátano de Canarias IGP, riconosciuto dall’Unione Europea nel 2013, che difficilmente troviamo nei supermercati rispetto alle cugine sudamericane. Possiamo farci caso: c’è un bollino distintivo, naturalmente, oltre al marchio d’origine UE, e la bacca si presenta più piccola, affusolata alle estremità, con qualche macchia nera in più di quelle che siamo abituati a vedere, per poi rivelare un sapore davvero identitario. Il gusto è più dolce, la texture particolarmente cremosa.
Averla assaggiata in loco, nel “museo del Platano” a strapiombo sull’Atlantico, cambia certamente la prospettiva. Non tanto per il panorama e la fruizione proposta – a morsi alternati con il formaggio, come si fa con il pane, e questa sembra proprio essere una tradizione – quanto per la vicinanza alla piantagione stessa, dieci metri, che si discosta assai dal solito. Quella che accettiamo, quotidianamente, nel comprare banane, ma anche avocado e mango, maturati su navi che attraversano l’oceano per noi.
Lo facciamo perché costa meno. Un avocado siculo – ci sono i gruppi d’acquisto, fateci caso – è buonissimo ma ha un prezzo maggiore e una banana sudamericana, con tutto ciò che comporta in termini di sosteniblità ambientale, riesce incredibilmente ad arrivare sulle nostre tavole a un terzo di quella spagnola. Complici i costi di produzione e la competizione su larga scala. Insomma, lungi da me farne un discorso di protezionismo legato all’unica IGP europea dedicata alla banana, frutto tropicale per definizione, ma stanto alla crescente preoccupazione nei confronti del cambiamento climatico c’è da chiedersi se non ci sia un banale problema di disinformazione sulla sua esistenza.
Intanto il mercato delle Isole Canarie non è in grado di assorbire la propria offerta: nel 2023 la produzione ha raggiunto livelli record, suggerendo il ritiro di 26 milioni di chili di prodotto per evitare il crollo dei prezzi e le inevitabili conseguenze connesse, che possiamo immaginare.
Ora, questa banana canara da terreni vulcanici è più buona? Direi di sì, ma senza essere stata nelle piantagioni del Sud America non stento a credere se ne trovino di altre, assai succose, laggiù. Il problema è quel che ci arriva e consumiamo in Italia, fregandocene dei bollini e del sapore che possiamo raggiungere a questa distanza.
Altri modi per mangiare le banane
Trattandosi della coltivazione più diffusa alle Canarie, la tradizione gastronomica locale ha sviluppato diversi abbinamenti e piatti tipici dedicati alla banana, dall’importazione dei marinai portoghesi nel VI secolo ai giorni nostri. Al netto del consiglio precedente, ovvero di approfittare della compattezza poco fibrosa – qualora aveste per le mani una banana canara – per alternarla al formaggio in un aperitivo che nella Penisola risulterà originale, è tradizione mischiarla al gofio, la farina a base di cereali tostati che definisce la sussistenza locale. Se ne ottiene un impasto denso, da colazione.
La si accosta al miel de palma, sciroppo ottenuto dalla linfa della pianta stessa, e la si trova spesso fritta, in piatti salati, come fosse un contorno.
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