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Karaganov, al Cremlino c’è un mago dietro Putin


Karaganov, al Cremlino c'è un mago dietro Putin

Al Cremlino c’è un nuovo «mago». Il suo nome è Sergej Karaganov e in questi ultimi anni, col favore dell’invasione dell’Ucraina, è diventato uno degli uomini più influenti della Russia contemporanea. Accademico di Mosca e presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa della Federazione, il «falco di Vladimir Putin» è il vero grande stratega della guerra di secessione dall’Occidente, iniziata la notte del 24 febbraio 2022, nonché il teorico del «Sud globale». Karaganov (nella foto) si inserisce in una lunga lista di eminenze grigie che hanno accompagnato Putin nell’ascesa al potere e nell’elaborazione di una dottrina geo-filosofica strettamente interconnessa con le meccaniche di un mondo che corre veloce.

Giuliano Da Empoli, professore all’Istituto di studi politici di Parigi e scrittore di successo, grazie ad un romanzo straordinario, servendosi di un protagonista di fantasia, Vadim Baranov, ci aveva già portati nella testa di Vladislav Surkov. Colui che più di tutti era riuscito a plasmare la nuova identità del Paese trasformandolo in «un enorme spettacolo di avanguardia teatrale», come disse Adam Curtis nel documentario Ypernomalisation. Nei primi due mandati del Capo del Cremlino, dietro le quinte, Surkov fondò partiti politici, televisioni, giornali, movimenti giovanili «putiniani», gruppi di estrema destra e neo-comunisti grazie ai soldi pubblici; e ancora scrisse libri sotto pseudonimo e testi musicali per band punk e rock.

La sua teoria sul «sanguemisto» della Russia, cioè di un Paese bifronte che per quanto storicamente legato a Ovest come ad Est, rimaneva per vocazione un’entità separata e solitaria, col passare degli anni è stata superata dalla necessità di ambire ad una «transizione multipolare» con spinte euorasiatiche prima sotto l’influenza di Evgenij Primakov, e ora appunto con quella di Karaganov. La visione del mondo di quest’ultimo, al pari di Vladimir Putin, vede una Russia che inizia a Kiev e finisce a Vladivostok. Una Russia che va difesa anche a costo di un escalation nucleare. E il suo destino manifesto, ora che si è saldata l’integrazione tra l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica, tramite la resurrezione della Nato, deve essere letteralmente staccato da quello del Vecchio Continente. Da qui l’urgenza di rafforzare i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e di allargare questa convergenza tattica alle economie emergenti (da qui la riorganizzazione dei Brics, che di recente ha riunito proprio a Kazan i suoi leader).

Con la ferma convinzione che questo nuovo equilibrio potrà durare fino allo scioglimento dei ghiacci nell’Artico, spazio geografico ricco di giacimenti di petrolio e gas naturale, dove si affacciano Stati Uniti, Cina e Russia. Prima – secondo Karaganov, almeno – la postura del Cremlino rimarrà la stessa. Nonostante l’elezione negli Stati Uniti del «pacifista» Donald Trump.


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