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Jonathan Richman – Only Frozen Sky Anyway: L’ex-Modern Lovers spinge sul pedale della stravaganza :: Le Recensioni di OndaRock

Che Jonathan Richman fosse un artista sui generis era risultato chiaro fin dagli esordi negli anni 70 come frontman dei Modern Lovers, con un distillato di sonorità ruvide e dirette che spaziavano dal proto-punk alla new wave. Nel corso degli anni Richman ha poi progressivamente abbandonato le spigolosità e le abrasioni del passato intraprendendo una carriera solista che lo ha visto abbracciare diversi generi, in particolare il pop più acustico, spesso con un approccio quasi spoken word, ma anche il folk per arrivare perfino al flamenco. Questa ecletticità che a volte sfocia nella stravaganza la ritroviamo anche nella diciottesima fatica di Richman, che è stata registrata in soli cinque giorni contribuendo così a donare all’album una freschezza e una spontaneità che a volte risultano addirittura spiazzanti.

L’album parte con “I Was Just A Piece Of Frozen Sky Anyway”, in cui si percepisce l’intensità ma anche una certa leggerezza che Richman riesce a infondere ai suoi lavori. La melodia è semplice ma accattivante, quasi una filastrocca nella quale spiccano delle percussioni minimali del suo collaboratore di lunga data Tommy Larkins e delle chitarre acustiche molto coinvolgenti. Il brano evoca un senso di effimero, di transitorietà, probabilmente inteso come metafora della condizione umana. Particolarmente vibrante anche la successiva “But We May Try Weird Stuff”, in cui protagoniste sono ancora le chitarre, qui declinate in chiave folk-blues con grande maestria.
All’interno dell’album non mancano atmosfere sixties e seventies come nella travolgente ma irriconoscibile cover dei Bee Gees “Night Fever”, qui reinterpretata in chiave molto personale attraverso un certosino lavoro di destrutturazione, o come in “O Guitar”, che ricorda non tanto vagamente il famosissimo pezzo “Stand By Me” di Ben E. King.
Gli episodi più eccentrici, invece, possono ravvisarsi in “Se Va Pa’ volver”;, con un folk acustico dalle suggestioni ispaniche, e “Little Black Bat”, col suo pop giocoso e quasi infantile e un improbabile ritornello in un italiano da turista occasionale.
Più riflessive “You Need Me Too” e “The Wavelet”, ballatona malinconica la prima, più eterea la seconda, con il suo substrato di tastiere che crea un’atmosfera sospesa e quasi fluttuante, trasportando l’ascoltatore in uno spazio intimo e contemplativo.

All’età di quasi settantacinque anni Jonathan Richman continua imperterrito a seguire la propria strada, senza abbracciare le mode del momento né tantomeno la politica del facile riscontro. Probabilmente non piacerà a molti, ma siamo sicuri che al Nostro questo non interessa più di tanto, perché la sua musica è un’espressione pura e onesta del suo essere più profondo.

02/09/2025




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