Cultura

John Michel – Anthony James

I promise, there’s honestly nothing to stop it
I’ve seen all the poverty problems I lived
I’m probably never gon’ see them again
It’s no competition but I’m trying to win
I could do it again, and again, and again
I know that my father would tell me to stop
I think ‘bout my momma, her face I forgot
Remember the fighting and changing the locks
Remember the nights that I wish I forgot
Remember the struggle that they never lived

“Egotrip” è il secondo appuntamento, ma tanti si erano già invaghiti al primo incontro con John Michel, il breve mixtape “Sinful Temptations”: jazz-rap e campionamenti soul a costruire brani eleganti e magmatici. Il rischio di allontanarsi dall’hip-hop, tipico di progetti più raffinati, era risolto aderendo ad alcuni temi centrali di questa cultura musicale, quali l’identità e la libertà.
“Egotrip”, che è firmato da John Michel insieme al produttore Anthony James, è ricco di suoni, ritmi e colori, tanto da ricordare gli Avalanches per il modo in cui si intrecciano i sample e i contenuti inediti. Racconta un viaggio interiore, epico ed emotivo, portato all’ascoltatore con brani densi di parole e cambiamenti.

Il chipmunk-soul, cioè un hip-hop con sample soul pitchati fino a ricordare delle voci all’elio, di “Don’t Save Me” (con La Reezy e Kennadi Rose) è rigoglioso, tanto che al primo ascolto quasi disorienta. La più introspettiva e raccolta “Going Down” è imbevuta di malinconia, mentre l’arrembante “Take No More”, con ottoni brillanti e vocalizzi femminili, ricorda la grandeur del Kanye West della “Dark Fantasy”. 
Trascinati nel racconto, troviamo nel brano “Egotrip” un collettore ideale delle emozioni suscitate dall’album e una sintesi del suo linguaggio: John Michel costruisce un’autoanalisi dei propri valori e punti di riferimento, individuando nella fede religiosa un potere superiore che di fatto lo distoglie dall’egocentrismo. In questo percorso di crescita personale e spirituale tutto è, chiaramente, in divenire. I brani difficilmente si strutturano in modo lineare, pur senza disperdersi in lungaggini. La densità funge da specchio della complessità emotiva che si vuole trasmettere.

Quando in “Preacher!” (con Colin!) compare una chitarra elettrica distorta e stellare, voci ruggiscono e i sample frullano senza sosta, è facile perdere la bussola, ma arriva comunque forte il messaggio di speranza.
“Egotrip” è un album urgente, rappato con incrollabile intensità, e in “Nobody” (feat. Kennadi Rose e Yung Senju) trova un altro vertice, anche grazie al minutaggio più generoso. Dopo questo climax, la drammatica “World’s End” mette in mostra la fragilità di questo ego orgoglioso, ambizioso, grandioso: è un sogno rappato con gli occhi gonfi di lacrime, troppo importante per non essere reale.

In 12 brani, compresi due interludi, John Michel e Anthony James rappresentano una vita in divenire, tra sogni e paura, fiducia in sé e fede in Dio. I sontuosi arrangiamenti rispecchiano l’ampio ventaglio di emozioni che si sovrappongono e contaminano nel corso di questo “Egotrip”. E se forse non s’inventa un sound né un modo di fare rap, il risultato conserva un suo fascino intellettuale e una grande forza comunicativa. Lascia piacevolmente confusi, storditi e commossi, con più domande che risposte. Un discorso aperto, come lo sono la carriera di un giovane rapper e la vita di tutti noi.

16/10/2025




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