Jimi Hendrix Experience Live In Maui”
L’esibizione della band The Jimi Hendrix Experience sull’isola di Maui alle Hawaii, e la storia di Jimi Hendrix “intrappolato” nelle sessioni d’incisione dello sfortunato lungometraggio “Rainbow Bridge” prodotto dal controverso manager Michael Jeffery. Le racconta “Music, Money, Madness. Jimi Hendrix Experience Live in Maui”, in onda mercoledì 26 marzo alle 23,05 su Rai5 (in streaming su RaiPlay).
Nell’estate del 1970 Michael Jeffery, il manager che aveva sostituito Chas Chandler alla guida della carriera di Jimi Hendrix aveva seri problemi di liquidità e quindi contattò la Reprise Records del gruppo Warner, con l’idea di un film “giovanile”, offrendo come contropartita la colonna sonora di quel film, con musica di Jimi Hendrix. Ma “Rainbow Bridge” il disco, uscito postumo dopo la morte di Jimi nel 1971, avrebbe contenuto materiale raffazzonato, preso da registrazioni di studio del 1968/69 e ‘70, con un solo brano dal vivo. E si dice, tra l’altro, che Jeffery avesse fatto sparire grandi quantità di denaro, per farle confluire sui propri conti correnti, e – ma non è mai stato provato – fosse coinvolto anche nella morte di Hendrix. L’argomento è stato dibattuto in vari libri e mai risolto, anche perché Jeffery morì anche lui in un disastro aereo in Francia nel 1973.
Il film racconta tutto il caos di un management e di un artista allo sbaraglio, a pochi mesi dalla morte di uno dei musicisti più influenti del XIX secolo.
Jimi Hendrix, ovvero la chitarra che fece la storia del rock. Il musicista di Seattle ha completamente e irreversibilmente mutato l’approccio alla chitarra elettrica, per molto tempo lo strumento principe e incontrastato del rock (almeno fino all’avvento del sintetizzatore) e, comunque, quello che più di tutti, fin dagli inizi, ha dato a questo genere quel marchio adrenalinico e un po’ selvaggio, quel quid che lo caratterizza da ogni altra espressione musicale. Più del piano di Jerry Lee Lewis o di Richard Pennyman, alias Little Richard (con cui Jimi Hendrix ha suonato come sessionman per un breve periodo, tra l’altro), più dell’icona fantasma di Elvis Presley. Chuck Berry docet.
Con il suo strumento, Hendrix ha compiuto una rivoluzione copernicana accostabile, forse, solo alle innovazioni apportate al modo di suonare la sei corde da Charlie Christian, Django Reinhardt, Chuck Berry e, al limite, Robert Johnson. Con Hendrix, il feedback diventa un’arte, non più un fastidioso difetto (forse ne sanno qualcosa Sonic Youth & C.), la distorsione, spinta ai massimi limiti, è potenza e delicatezza al contempo (il suono “duro” che oggi è infiltrato quasi ovunque, soprattutto fra certi gruppi della scena indie, nasce qui), le linee melodiche e armoniche della chitarra elettrica si intrecciano e si fondono con naturalezza e perfezione come mai in precedenza. La valenza catartica dell’atto musicale assume con il chitarrista di Seattle un nuovo e prorompente significato.