Società

Jeremy Allen White: «Da piccoli vediamo i nostri genitori come supereroi, capaci di tutto. Poi, col tempo, li riconosciamo come persone comuni»

Questa intervista a Jeremy Allen White è pubblicata sul numero 42 di Vanity Fair in edicola fino al 14 ottobre 2025.

Su TikTok lo chiamano «effetto Jeremy Allen White»: è la voglia improvvisa di tornare dal mercato con un mazzo di fiori freschi stretto tra le braccia, meglio se la domenica mattina. L’attore lo fa davvero, da anni, allo Studio City Farmers Market di Los Angeles. Le prime foto risalgono al 2023: enormi carichi di fiori coloratissimi, stagionali, trasformati in fenomeno virale. A chiederlo a lui, minimizza: «Non c’è nessun mistero dietro, semplicemente mi piacciono i fiori, e mi piace sistemarli con le mie figlie. Tutto qui».

Jeans Louis Vuitton.

Jeans, Louis Vuitton.

Austin Hargrave

Jeremy Allen White, 34 anni, da Brooklyn, New York, non sembra amare particolarmente i riflettori. T-shirt nera, sguardo curioso, lascia sempre passare qualche secondo prima di rispondere. Altro che «yes, chef!» della cucina di Carmy. Jeremy preferisce calibrare le parole, misurare le pause, ma senza mai spostare lo sguardo. Dopo The Bear, due Emmy, tre Golden Globe, i meme sui social e l’ossessione per la sua vita privata mai resa volontariamente pubblica, è l’uomo del momento. E come ogni uomo del momento ha già conosciuto il lato più buio, l’ha attraversato. Oggi affronta il ruolo più rischioso della carriera: Bruce Springsteen. Non l’icona di Born in the U.S.A., ma il ragazzo fragile del 1982. In Springsteen – Liberami dal Nulla – l’attesissimo film 20th Century Studios, diretto da Scott Cooper, tratto dall’omonimo libro di Warren Zanes, al cinema dal 23 ottobre – interpreta il Boss in un momento cruciale della vita: il ritorno a casa nel New Jersey dopo l’estenuante tour di The River. Da quello smarrimento nascerà Nebraska, l’album più intimo e radicale della sua carriera, inciso in camera da letto a Colts Neck su un registratore a quattro piste, abitato da lavoratori, fuorilegge e anime perdute nel cuore dell’America.

Il film si concentra su quel punto di rottura, con pochi flashback in bianco e nero sull’infanzia operaia a Freehold, il padre violento (Stephen Graham), il sostegno dell’amico e manager Jon Landau (Jeremy Strong) e la relazione in frantumi con Faye (Odessa Young). Un Bruce depresso, in caduta libera, che White restituisce con uno sguardo scavato, inquieto. Per interpretarlo ha imparato a cantare come lui, a suonare la chitarra, sotto gli occhi dello stesso Springsteen, che ha seguito la lavorazione del film e ha visitato più volte il set. Al New York Film Festival l’attore ha raccontato il primo, vero contatto tra di loro: «Gli ho chiesto: “Perché questo film? Perché proprio questo periodo?”. Lui è stato subito sincero: mi ha parlato di un attacco di panico, di quando si sentiva come un voyeur della sua stessa vita, estraneo a sé stesso. Ed è una sensazione che conosco molto bene. In quel momento ho capito che c’era un legame tra di noi».

Chi era Bruce Springsteen nel 1982?
«Penso che stesse affrontando per la prima volta un’attenzione a cui non era abituato. Era alla ricerca del senso più profondo di sé stesso. Aveva passato anni in viaggio, spesso annoiandosi e spostandosi di continuo. Quando lo incontriamo in questo film, invece, è tornato a casa. Lo vediamo come un uomo curioso del suo futuro, ma anche preoccupato per quello che lo aspetta. Sta cercando di fare la cosa giusta, la migliore possibile».


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