Javier Castillo: «Ho lasciato tutto per scrivere e stare con i miei figli. Le storie di bambini scomparsi mi ossessionano come padre, nei miei thriller la realtà è più dura della finzione»
«Quando venne pubblicato il mio primo libro, fu un periodo molto bello perché nacque anche la mia prima figlia. Continuai a svolgere il mio lavoro da consulente finanziario, ma poi per due intere settimane tornavo a casa e lei era già addormentata. Partivo molto presto la mattina e tornavo tardi la sera, non la vedevo mai e mi dissi che questa non era la vita che volevo. Quindi lasciai il mio lavoro, e cercai di avere una carriera in questo mondo, ma ero spaventato perché è vero che avevo avuto un successo incredibile con il primo libro, ma non si può mai sapere. Se non fosse andata bene, sarei tornato al lavoro di prima, ma almeno stavo più a casa con mia figlia. E quando finii il secondo libro, fu incredibile: stette al numero uno nelle classifiche spagnole per 20 settimane continuative. Fu in quel momento che capii che avevo preso la decisione giusta: potevo avere una carriera». Javier Castillo, scrittore 38enne originario di Malaga, è preparato, carismatico, social. Dopo aver studiato Economia Aziendale e aver lavorato come consulente finanziario, ha cambiato direzione alla sua vita ed è diventato l’autore spagnolo di thriller più famoso. La moglie Verónica Díaz è una vera esperta dei social, ha 756mila follower su Instagram e più di un milione di iscritti sul suo canale Youtube. La Crepa del Silenzio è il romanzo più recente di Castillo, uscito per Salani Editore lo scorso maggio.
Iniziamo dal suo ultimo romanzo: qual è l’idea alla base della storia?
«La prima immagine che mi viene in mente pensando alla storia è la bicicletta del piccolo Daniel Miller e la ruota che gira da sola in strada. Già nel 2019 volevo raccontare la storia della scomparsa del bambino, ma sapevo che avevo bisogno di personaggi molto forti, potenti, e di un significato più profondo del semplice caso d’indagine. Quindi ho creato il personaggio di Miren Triggs, ho sviluppato i suoi traumi, il suo dolore e ho inventato un’altra storia per farla immergere in un viaggio che avrebbe portato al terzo libro. Ho scritto i primi due (La Ragazza di Neve e Il Gioco dell’Anima) come una scusa per il terzo».
Che storia voleva raccontare?
«Volevo una storia che avesse una profonda connessione con la sensazione di sentirsi perso, di non essere completo quando qualcuno vicino a te scompare o quando addirittura un bambino sparisce per sempre. Il dolore è intrecciato all’idea di parlarne forte, a voce alta, e rompere il silenzio, dicendo la verità. È collegato al tema del giornalismo, perché la sua funzione dovrebbe essere quella di raccontare la verità sugli argomenti di cui le persone normalmente non vogliono parlare».
Nel libro c’è infatti una grande critica al giornalismo investigativo odierno, che è praticamente scomparso. Quanto è grande questa perdita?
«È una situazione drammatica, soprattutto perché è il tipo di giornalismo di cui abbiamo più bisogno come cittadini. Dobbiamo sapere cosa c’è dietro la politica, i nostri soldi, tutto ciò che concerne il potere. Se perdiamo questo, perdiamo anche la democrazia: quando non siamo ben informati, siamo vittime della manipolazione. Diventiamo vittime di persone molto intelligenti, che mentono e nascondono la verità, che traggono profitto dalle posizioni di potere».
Il silenzio è un tema fondamentale. Che significato ha?
«È il luogo dove succede tutto. Io, come scrittore, ho bisogno di silenzio per creare le mie opere. Nel libro, il silenzio ha il potere di scoprire la verità: è tutto collegato, il rumore, l’urlare, stare in silenzio, scoprire nuove cose. Per esempio, le audiocassette che Daniel registra raccontando le sue giornate: se ci concentriamo sul non detto, su ciò che c’è tra le righe, si scopre che c’è ben altro. L’idea che lui fosse come un piccolo giornalista nella sua casa lo connette con Miren, e anche con gli altri. E poi, c’è il personaggio di Alice, una ragazza muta: la ragione di questa sua condizione è molto triste e drammatica. Quando qualcuno soffre molto, affronta conseguenze che potrebbero cambiare tutto: è un altro lato del silenzio di cui parlo nel libro».
Nei suoi romanzi, molte delle protagoniste sono donne. C’è una particolare ragione?
«Mi piace spesso utilizzare il narratore in prima persona e con il tempo, ho scoperto che le donne esprimono più naturalmente le emozioni, le paure, i legami con gli altri personaggi. Probabilmente i miei protagonisti sono donne perché sono circondato e influenzato da donne molto potenti, molto emotive, che combattono ogni giorno. E hanno una visione delle cose totalmente diversa da quella degli uomini. Questi ultimi descrivono ciò che vedono molto linearmente, e magari con molti dettagli, ma non con i legami e le emozioni profonde che un personaggio femminile può provare. Le donne si mettono nei piedi di altre persone, empatizzano di più, e possono sentire le emozioni di alcune vittime. Se c’è un protagonista che non è molto connesso con il resto del mondo, forse il racconto non è così personale».
Ne La Crepa del Silenzio scompare Daniel Miller, un ragazzino di 8 anni. Nel libro La Ragazza di Neve è Kiera Templeton, 3 anni, a sparire. Il tema dei bambini scomparsi è ricorrente e molto attuale…
«Purtroppo, accade molto di più di quanto immaginiamo: quando leggiamo le statistiche e i dati è una situazione molto angosciante. Negli Stati Uniti ogni anno spariscono circa 400mila persone minorenni, delle quali mille non si ritrovano più. Tra quelle che si rintracciano, alcune hanno semplicemente cercato di scappare da casa, altre sono state rapite. Ma circa mille non si ritroveranno più. E questo è solo il quadro degli Stati Uniti, ma anche in Spagna succedono queste cose: ogni anno non si hanno più notizie di 20mila bambini e di circa 40 casi non si saprà più niente».
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