james K – Friend: Risacche settembrine per cullarsi e abbracciare il passato :: Le Recensioni di OndaRock
Etichettare la musica di Jamie Krasner, in arte james K, è impresa tanto ardua quanto banale, dato che tutto muta a seconda dei momenti: si può essere catapultati in una pista sciistica, magari immaginandosi in una pellicola Super 8 utile per una partitura dei Boards of Canada (“Days Go By”), o riemergere da un sogno dei Cocteau Twins, rielaborandolo poi con uno sguardo perso e in loop, simile a quello delle studentesse nipponiche disegnate come una giovane eroina di Miyazaki che fanno da sfondo alle tracce infinite sparse sul tubo in stile lo-fi e hip hop strumentale. La compositrice elettronica newyorchese però appartiene essenzialmente solo a sé stessa, e sorride mentre tutti le chiedono di esibirsi alla chitarra, scimmiottando Avril Lavigne, come ben racconta in un’intervista per Cult Classic.
“Friend” arriva dopo una lunga gestazione. Ci sono voluti infatti quasi due anni per partorire le tredici canzoni del quarto disco di james K. Un’attesa lunga, visti i tempi supersonici che corrono, ma necessaria. Perchè a questo giro la musicista statunitense esplora meravigliosamente il suo mondo incantato, tratteggiato dall’inconfondibile voce eterea e da un passo downtempo aggraziatissimo. Insomma mai un beat fuori posto, una variazione ritmica insensata, una sfumatura di troppo. Brani come “Doom Bikini” esplorano per giunta il futuro di quella cosa chiamata dream-pop, o meglio le possibili configurazioni di un genere e le sue potenziali commistioni con l’elettronica meno caciara, per una sorta di idm calibrata senza forzature, nemmeno quando c’è da riprendere di nuovo i fratelli Sandison, come accade ad esempio nella più sfuggente “Idea.2”.
L’amore mai nascosto per la scena freak-folk emerge più che altro nel mondo di cantare da elfo sotto incantesimo della Krasner. E ancora i fantasmi dei Seefeel di “Filter Dub” nelle fluttuazioni di “N’Balmed”, o nuovamente una Fraser più scomposta in “Rider”. Le parole legano poi sentimenti interrotti e storie di amicizia vera, che james K concepisce come “luce da dare alla nebbia”. Un messaggio chiaro che sottintende l’anima di un album musicalmente riuscito. Anche nel momento in cui spuntano meglio le chitarre e le fascinazioni per certo indie-pop d’annata, si prendano quindi da riferimento ballate come “On God”. E non mancano nemmeno volteggi glitch per ricordarci del primo passato di Jamie (“Peel”).
“Friend” è un sogno ubiquo, nel quale la nostalgia dei ’90 è lampante ma educata. E il canto da sirena, che però se ne fotte di sedurti, restituisce sempre e comunque il suo maledetto fascino. Movimenti come “Play” regalano poi la canzone che Grimes non ha mai scritto, forse perché distratta da un universo che non le apparteneva, o semplicemente in quanto “incapace” di contare fino a dieci e lasciarsi andare.
Si potrebbe continuare per ore a vagheggiare tra un ricordo e un’iperbole, emozionandosi tra le onde della risacca inscenata dalla Krasner senza badare al tempo che scorre. E già soltanto questo rimane un miracolo non da poco.
06/09/2025