issata la bandiera della Palestina sul Nettuno durante il presidio a Bologna
“Manifestare contro un genocidio non è un reato, è un dovere.” Così Marina Prosperi, avvocata dei Giuristi Democratici, ha sintetizzato il senso dell’iniziativa legale che accompagnerà i 54 indagati per le manifestazioni pro-Palestina svoltesi a Bologna nel 2024. La Procura ha notificato 32 atti di fine indagine per l’occupazione della stazione ferroviaria del maggio scorso e altri 22 per la protesta durante l’inaugurazione dell’anno accademico universitario, a marzo.
Durante la conferenza stampa, alcuni attivisti hanno issato la bandiera palestinese sulla statua del Nettuno, trasformando il simbolo monumentale della città in un gesto di solidarietà visibile con la popolazione di Gaza.
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I reati ipotizzati spaziano dal blocco ferroviario alla resistenza aggravata, passando per l’interruzione di pubblico servizio e l’istigazione a delinquere. Fra gli elementi contestati, anche slogan come “bisogna bloccare tutto, perché è in corso un genocidio”. Per i legali si tratta di una vicenda giudiziaria dal chiaro significato politico. “Vogliamo dimostrare che agire contro un genocidio non è un crimine, ma l’esercizio di un diritto superiore. La Costituzione legittima la disobbedienza civile quando si è di fronte a una violazione grave del diritto internazionale”, ha sottolineato Prosperi.
È intervenuto anche Fausto Gianelli, avvocato modenese, che ha allargato lo sguardo al contesto costituzionale: “Siamo giuristi, non militanti. Ma il nostro statuto ci impone di difendere i valori fondanti della Repubblica. Il ripudio della guerra, sancito dall’articolo 11, non è solo un principio astratto: comporta un impegno attivo. E se lo Stato non interviene, devono farlo i cittadini”.
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Il collegio difensivo annuncia la richiesta di acquisizione delle testimonianze dirette da Gaza, ritenute “decisive per chiarire il contesto delle proteste”. “Non è solo una difesa tecnica, ma un’azione di verità – aggiunge Prosperi – dimostrare che chi ha manifestato lo ha fatto per coscienza, non per violare la legge”. Gianelli prosegue: “Queste voci devono entrare nei processi. Madri, figli, sopravvissuti: persone che hanno vissuto sulla propria pelle ciò che qui ancora fatichiamo a nominare. Non può esserci giustizia senza ascolto”.
Per la difesa, l’azione penale assume contorni intimidatori. “Non è un procedimento isolato – ha osservato l’avvocata –. Riguarda tutte le manifestazioni degli ultimi anni, e potrebbe estendersi ancora. Per questo va contrastata con determinazione”.
I Giovani Palestinesi: “Non ci fermeremo. Non abbiamo niente da perdere”
A intervenire durante la conferenza anche Dawood, giovane attivista palestinese originario della Cisgiordania, oggi tra gli indagati. “Per noi palestinesi vivere in Italia non significa dimenticare. Abbiamo parenti a Gaza, conosciamo chi è stato ucciso, chi è scomparso. Negli ospedali di Bologna abbiamo incontrato bambini che hanno perso i genitori. E a noi si contesta di aver bloccato una stazione?”
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Dawood non rinnega la protesta, ma respinge la lettura penale della sua partecipazione: “Non lo facciamo per provocazione o per ideologia. Abbiamo le nostre vite, il nostro lavoro, lo studio. Ma quando l’ingiustizia è così evidente, è impossibile restare fermi. Non ci fermeremo solo perché siamo stati denunciati. Questo è quello che vorrebbero: il silenzio”.
La conferenza si è conclusa con un appello alla città e alla magistratura. “Non giudicate questi giovani come criminali – ha dichiarato Prosperi – ma come cittadini che hanno avuto il coraggio di alzare la voce mentre intorno regnava l’indifferenza”.
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