Basilicata

Iran, lo stop degli Usa a Israele

Iran: Il tycoon blocca il piano d’attacco contro i siti nucleari; L’operazione voluta da Israele è troppo rischiosa per gli Usa


Niente attacchi in profondità contro i complessi industriali iraniani. Questa sembra sia stata la decisione del presidente americano Donald Trump quando i suoi alleati israeliani hanno proposto un audace piano per un’offensiva contro i principali siti di sviluppo nucleare in Iran. Stando a quanto riportato in settimana dal New York Times, infatti, Israele avrebbe presentato qualche settimana fa all’amministrazione Trump un piano, previsto per maggio, tramite il quale l’IDF contava di colpire in maniera molto decisa e devastante il programma di arricchimento dell’uranio in Iran. Un attacco che avrebbe avuto un peso notevole sugli equilibri geopolitici della regione e sugli sforzi volti a pacificare la regione mediorientale dopo più di un anno di guerra.

Gli israeliani prevedevo, almeno stando alle indiscrezioni, di attuare una complessa operazione in territorio iraniano per danneggiare gran parte delle strutture di sviluppo nucleare di Teheran. Tramite un combinato disposto di raid aerei in profondità, miranti ad annullare la capacità di protezione antiaerea delle forze della Repubblica, e incursioni aviotrasportate di unità delle Forze Speciali Tel Aviv mirava a sorprendere e soverchiare le difese poste a guardia delle basi e a entrare direttamente negli stabilimenti sotterranei. L’obiettivo sarebbe stato quello di riportare almeno un anno indietro il programma di sviluppo iraniano. Un piano a dir poco audace considerata la distanza da coprire, il tipo di avversario da affrontare e il terreno da attraversare e dentro il quale combattere.

Dal punto di vista degli israeliani, però, non c’erano molte altre alternative tattiche. Sembra che l’operazione, infatti, sia stata concepita secondo queste modalità azzardate per poter far fronte al fatto che molte delle strutture nucleari iraniane sono state costruite, una volta scoperta la vulnerabilità di queste installazioni agli attacchi aerei, in modo tale da poter sopravvivere anche alle più efficaci bombe a disposizione dei rivali di Teheran. In tal senso, gran parte di queste sono state costruite tanto in profondità nel terreno da rendere impossibile colpirle se non tramite un’incursione di unità terrestri o con un attacco informatico come quello avvenuto a Natanz nel 2021. Un intervento a terra, in sostanza, per quanto rischioso e decisamente ambizioso è stato giudicato dai decisori militari d’Israele come l’unico realmente efficace e fattibile.

Forse sono proprio la complessità tecnica e l’alto rischio connesso con il tipo di operazione pensata dagli israeliani che hanno spinto Washington e Trump a mettere un freno alla cosa. Inserire operatori delle forze speciali in Iran e combattere nei tunnel dei complessi iraniani non è infatti una cosa semplice e l’intero attacco avrebbe corso il rischio di entrare in stallo e provocare un caso internazionale decisamente molto difficile da gestire tanto per Tel Aviv quanto per i suoi alleati americani. Sul piano militare riuscire a entrare nelle gallerie che collegano le strutture alla superficie sarebbe stato già di per sé molto complicato.

Combattere sotto terra, distruggere le apparecchiature e ritirarsi in tempo per effettuare un’estrazione, prevedibilmente durante una controffensiva avversaria, avrebbe richiesto, poi, uno sforzo non indifferente e avrebbe potuto causare perdite considerevoli tra le fila dell’IDF. Molto meglio secondo l’amministrazione Trump, o almeno alcuni all’interno del suo entourage, arrivare al nucleare iraniano passando per i canali della diplomazia.

Che il piano a lungo termine della Casa Bianca sia proprio quello di denuclearizzare, in tutto o in parte, la Repubblica Islamica con mezzi “pacifici” è del resto sempre più evidente. Nonostante il balletto messo in scena negli ultimi giorni, durante il quale Washington e Teheran hanno continuano a contraddirsi circa i contenuti delle negoziazioni, l’intento degli americani rimane chiaro: trattare per offrire meno sanzioni agli Ayatollah in cambio di concessioni sulla questione dell’arricchimento dell’uranio. Anche se le richieste proposte nei colloqui continuano ad essere incerte, qualsiasi accordo riguardante lo sviluppo nucleare degli iraniani sarebbe una vittoria notevole per Trump dal punto di vista geopolitico.

In tal senso, basterebbe anche solo una riduzione delle strutture e delle capacità di arricchimento che riporti la situazione allo stato di cose precedente l’uscita dal Joint Comprehensive Plan of Action voluta dal tycoon nel 2018. E sono in molti a Washington ad esser convinti che il raggiungimento di questo obiettivo non richieda uno sforzo bellico. Altri scontri ben più rilevanti in zone più importanti del mondo richiedono infatti tutta l’attenzione degli Stati Uniti, specialmente sotto il punto di vista degli asset militari.

Un avversario ostico come l’Iran, dotato di una capacità di resilienza notevole sul piano strategico, richiederebbe uno sforzo da parte americana per essere piegato manu militari che ora come ora la Casa Bianca non ha intenzione di chiedere alle sue Forze Armate. In ultima analisi, è proprio sotto questa luce che va letto lo stop di Trump all’operazione voluta dagli israeliani. Tel Aviv non può combattere da sola una guerra aperta con Teheran, né avrebbe potuto effettuare una sortita tanto importante come quella ipotizzata, senza il supporto diretto di Washington e dei suoi militari. Gli americani, però, non vogliono essere trascinati di nuovo in una guerra mediorientale, specialmente in un momento storico in cui il confronto con la Cina si fa sempre più caldo e i legami con l’Europa sono appesi a un filo. In tal senso, per ora, è decisamente meglio perseguire la strada della diplomazia.

La qualità dell’informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.



Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »