“Io non mi arrendo”. La vera storia di Hiroo Onoda
“Stanotte sento il suono dei tamburi del vicinato / Posso sentire il mio cuore cominciare a battere forte / Tu dici di essere stanco e vuoi solo chiudere gli occhi / E seguire i tuoi sogni / Beh abbiamo fatto una promessa, abbiamo giurato che avremmo sempre ricordato / Nessun ritiro, baby, nessuna resa / Come soldati in una notte d’inverno con una promessa da difendere /
Nessun ritiro, baby, nessuna resa.” // (Bruce Springsteen [“The Boss”], “No Surrender”, 1984, dal 33 giri “Born in the USA”)
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“Da vicino nessuno è normale” (Caetano Veloso, cantautore e chitarrista brasiliano, dalla sua canzone intitolata “Vaca Profana”, 1986)
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Che ci fa un giapponese armato nell’Isola filippina di Lubang? Ma la guerra naturalmente. Lui si chiama Hiroo Onoda è un Tenente di Seconda Classe dell’Esercito Imperiale Giapponese e – rimasto solo sull’Isola filippina di Lubang – continua a combattere come gli è stato ordinato di fare (dal Maggiore Taniguci, il suo Comandante).
Onoda tiene in ordine la sua divisa e la sua arma (che smonta pulisce, olia e rimonta quotidianamente) e attacca il nemico usando la tecnica cosiddetta “mordi e fuggi” dei Commandos, come gli hanno insegnato a fare alla Scuola di Guerra in Giappone. Tutto, in questa storia di guerra sarebbe OK – i giapponesi, è noto, combattono contro il nemico jankee – se non fosse che siamo nel 1974, esattamente 29 anni dopo la resa del Giappone Imperiale alle truppe americane del Generale a cinque Stelle Douglas McArthur, che era anche un Maresciallo di Campo dell’Esercito filippino (titolo puramente onorifico).
La storia di Hiroo Onoda
Incredibile? Forse. Ma quella di cui tra breve leggerete non è la sceneggiatura di un Film di guerra di quelli in bianco e nero anni ’60 in cui si sa, da subito, chi vincerà (i gloriosi Marines USA) e chi, invece, perderà (gli odiati “nippos” giapponesi).
E’ una storia vera, la storia di Hiroo Onoda (1922-2014) l’ultimo (o forse no) giapponese armato ancora in guerra, da solo, contro gli Stati Uniti D’America. Un combattente a cui è stato detto di non arrendersi mai e al quale nessuno ha detto, 29 anni prima, che la guerra nel Pacifico era finita dopo l’Agosto del 1945 e il Giappone, imperialista e fascista, dell’Imperatore Showa Hirohito, venerato in Giappone come il “Tenno” (inchino regolamentare), quella guerra l’aveva persa, sacrificando milioni di giapponesi ad un sogno di egemonia anche etnica irrealizzabile, compreso il Tenente di Seconda Classe Hiroo Onoda. (*)
Dunque, vediamola questa storia.
Giappone, Kainan, città della Prefettura di Wakayama, Regione di Kansai, Isola di Honshū, il 19enne contabile Hiroo Onoda da bravo suddito di Sua Maestà l’Imperatore del Giappone Hirohito (inchino regolamentare) si arruola nell’Esercito. Siccome si dimostra un eccellente soldato i suoi Superiori lo mandano prima alla Scuola Allievi Ufficiali (e qui Onoda arriva al grado di Tenente di Seconda Classe) poi lo mandano presso la Scuola Militare di Nakano, per addestrarlo come commandos.
Sebbene Onoda abbia fatto presente di non essere il tipo adatto a quella Scuola, i Superiori insistono e lui ubbidisce. Lavora con abnegazione, studia, impara tutto quello che c’è da imparare e il 26 Dicembre 1944 viene inviato nell’Isola di Lubang, (Filippine) con il compito, insieme con i soldati già ivi presenti, di ostacolare l’avanzata degli americani, appena fossero sbarcati sull’Isola. Onoda riceve dal suo Comandante, il Maggiore Taniguci, l’ordine di non arrendersi mai, a costo della sua stessa vita, a meno che non avesse ricevuto l’ordine contrario direttamente dal Maggiore stesso.
Il 28 Febbraio 1945, l’isola di Lubang subisce un attacco nemico che annienta quasi tutte le milizie nipponiche. Onoda e tre commilitoni, Yuichi Akatsu, Shoichi Shimada e Kozuka Kinshichi, sopravvivono, si nasconde tra le montagne e dal loro nascondiglio, i quattro soldati del Sol Levante iniziano a combattere la guerriglia a cui sono stati addestrati,
Passano i giorni, i mesi e gli anni e Onoda, rimasto ormai da solo dopo che i suoi tre commilitoni sono stati uccisi da scontri armati con gli isolani, continua a combattere, colpire e fuggire: i contadini filippini raccolgono il riso, lo lasciano all’aperto ed ecco che, di notte, il raccolto viene distrutto dal fuoco. Si costruisce un nuovo pontile per le barche da pesca della comunità ed ecco che, di notte, il pontile salta in aria. Gli isolani imprecano nella loro lingua, ma più che prendersela con il loro Dio sanno esattamente di chi è la colpa di quel disastro che si ripete. La colpa di quei disastri e di Hiroo Onoda, il giapponese invisibile che continua a combattere e a distruggere tutto quello che non è giapponese: ”Accidenti a te, Hiroo Onoda!”. Imprecano i filippini di Lubang e lo cercano per ammazzarlo.
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Gli americani allora lanciano sulla foresta dei volantini in giapponese in cui si spiega che la guerra è finita da un pezzo e che i giapponesi quella guerra l’hanno persa; lanciano delle fotografie della Famiglia di Onoda, ritratta nelle strade del Giappone moderno e pacificato; mandano nella foresta il fratello di Onoda, Tosho, che, con un megafono, canta le canzoni di quando i due erano ragazzi. Ma niente da fare. Hiroo Onoda resta rintanato nella foresta e continua a combattere e a distruggere quello che gli capita a tiro (ha anche rubato una Radio ma quello che sente da una Stazione giapponese: non si parla più della guerra ma di una vita tranquilla, non lo convince; è tutta propaganda disfattista nemica, pensa). In fondo è convinto – anzi è sicuro – che quelli siano tutti trucchi costruiti ad arte dalla propaganda americana per fiaccare il morale dell’Esercito Imperiale giapponese e per catturarlo.
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Se gli Psichiatri militari americani lo avessero davanti e lo potessero esaminare sentenzierebbero che Hiroo Onoda è un “delirante”, ovvero uno che si è costruito un mondo tutto suo, senza nessun collegamento con la realtà. Onoda prende tutto quello che accade ed è in contrasto con la sua visione del mondo e delle cose e lo modifica, lo plasma, lo “digerisce” a suo vantaggio (meglio, a conferma della sua visione del mondo). Insomma, il Tenente di Seconda Classe Hiroo Onoda, dell’Esercito Imperiale giapponese, non può ammettere che il mondo giri nel senso contrario a quanto lui ritiene giusto, anzi inevitabile vista la potenza militare giapponese: tutto quello che gli americani fanno per convincerlo ad arrendersi non è altro che sporca e subdola propaganda nemica. Dunque, la guerra continua, lui ha avuto degli ordini precisi e non li tradirà. Non si arrenderà, mai. Non lo prenderanno, mai.
Hiroo Onoda e la teoria “della pace economica e della guerra militare”
Non è possibile, pensa Honoda, che la guerra sia finita e che il Giappone l’abbia persa Se così fosse, il Giappone sarebbe distrutto e non si vedrebbe quello che si vede nelle fotografie patinate delle Riviste americane che piovono dal cielo sulla sua testa. E se il Giappone Imperiale quella guerra l’avesse vinta sarebbero certamente venuti a prenderlo. Ergo, la guerra continua e a tutto, quello che Onoda vede e sente c’è una sola spiegazione: americani e giapponesi che vivono felici e pacificati, il cinema, la televisione a colori, il rock and roll, sono solo propaganda nemica. Una guerra come quella che si sta combattendo non può durare così a lungo senza mandare in bancarotta gli Stati. Questo vuol dire – pensa sempre Onoda e se ne convince – che America e Giappone hanno stipulato una sorta di “pace economica”, cioè fanno affari insieme per proccurarsi le risorse finanziarie in grado di permettere loro di continuare a farsi la guerra.
Ma come tutte le cose che popolano il mondo, anche la guerra di Hiroo Onoda finisce. Finisce il 9 Marzo del 1974. Verso la fine di Febbraio Onoda esce dalla foresta e si trova davanti un uomo. Gli punta contro il fucile ma poi riflette: l’uomo porta i sandali con i calzini. Se fosse un soldato o un poliziotto – pensa Onoda – non porterebbe i saldali. E se fosse un filippino non porterebbe i calzini. Così Onoda non gli spara e gli chiede chi è. Si tratta di un giornalista giapponese arrivato sull’Isola per un reportage sull’ultimo giapponese in armi, ovvero su di lui, Hiroo Onoida, Tenente di Seconda Classe dell’Esercito Imperiale giapponese, che ancora combatte una guerra finita 29 anni prima.
Forse Onoda è stanco della sua vita e della sua guerra, ma si mette a parlare con il giornalista che lo fotografa e gli chiede: ”Ma perché continui a combattere? Perché non vuoi credere che la guerra è finita? Cosa potrebbe convincerti?”. E Onoda glielo dice: lui attende ordini dal Maggiore Taniguci e se il Maggiore gli ordina di arrendersi lui si arrenderà, altrimenti, la sua guerra continuerà.
Così gli americani cercano il Maggiore Taniguci, lo rintracciano che fa il Libraio in una città giapponese, gli fanno di nuovo indossare la sua divisa militare e lo spediscono a Lubang. Lì, il Maggiore legge ad Onoda – che lo ascolta rispettosamente sull’attenti – il Proclama di resa dell’Esercito Imperiale giapponese di 29 anni prima. Finita la lettura, Onoda attende che Taniguci dica qualcosa, gli faccia un cenno perché continui a resistere fino all’ultimo. Ma il suo Superiore quel gesto tanto atteso non lo fa, dice solo: “E’ tutto”.
E così Hiroo Onoda, dopo avere combattuto per quasi trent’anni una guerra solitaria, il 9 Marzo del 1974 si arrende. Torna in Giappone e scrive un libro in cui racconta la sua storia, un Libro che intitola “Non mi arrendo”. Lui e il suo Libro diventano così l’icona della destra estrema giapponese. Nel Libro però Onoda non racconta dei suoi attacchi solitari alle proprietà dei filippini di Lubang, per evitare di essere costretto a pagare forti ristori economici ai contadini filippini a cui, per anni, ha avvelenato la vita. Hiroo Onoda morirà a Tokyo, il 16 Gennaio del 2014, all’età di 92 anni.
Nota linguistica
“Sei l’unico che sta ancora lavorando a quest’ora, ma che fai, l’ultimo giapponese sull’isola?”. La frase “Ma che fai, l’ultimo giapponese sull’isola?” è un modo di dire informale che si usa quando qualcuno sta facendo qualcosa di insolito o in modo eccessivamente zelante, quasi come se fosse l’unico rimasto a farlo. L’espressione si riferisce all’idea di un soldato giapponese isolato che continua a combattere anche dopo la fine della guerra, un’immagine ispirata a storie vere di soldati dell’Esercito Imperiale giapponese che continuarono a nascondersi e combattere per anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale; storie come quella che avete appena finito di leggere.
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Ah, dimenticavo, Hiroo Onoda non è l’unico “ultimo giapponese” in armi contro gli Stati Uniti D’America, dopo molti anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. la Storia ci racconta, infatti, di un altro “ultimo giapponese”. Si chiamava Shoichi Yokoi e venne ritrovato vivo nell’Isola di Guam (Pacifico) nel 1972.
>>Qui potete leggere la sua storia<<
(*) L’Imperatore Giapponese, il “Tenno”, Showa Hirohito (1901-1989), 124° Imperatore del Giappone, era un criminale di guerra? La figura dell’Imperatore Hirohito durante la Seconda guerra mondiale è stata – ed è tuttora – oggetto di dibattito e controversie. Sebbene non sia stato formalmente incriminato o processato come criminale di guerra, alcune figure storiche e alcuni Storici lo hanno, infatti, accusato di aver promosso una politica militarista ed espansionista, culminata nella partecipazione del Giappone alla Seconda guerra mondiale terminata – come è noto – con il lancio americano – il 6 ed il 9 Agosto del 1945 – delle due bombe all’idrogeno sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, che migliaia e migliaia di morti e distruzioni hanno provocato con persone che, ancora oggi a ottant’anni da quei giorni di Agosto, continuano a morire per le radiazioni di quelle due bombe H, Showa Hirohito, il “Tenno”, morirà a Tokyo il 7 Gennaio 1989, a causa di una grave malattia.
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