Inter, verso la notte del sogno Champions. Inzaghi: «Manca un passo, vincere per noi e tutto il popolo nerazzurro»
Monaco di Baviera – Le facce, i volti, gli sguardi. Quelli contano, alla vigilia di una Finale Champions. Non le parole, che rimbombano sorde e monotone, atto di estrema cortesia da parte di quelli che saranno i protagonisti in campo, che inondano di innocua melassa le ore vuote di eventi e piene di pensieri che precedono l’appuntamento che vale una vita no, ma una carriera sì, eccome.
Ebbene le facce che abbiamo visto qui nella pancia dell’Allianz Arena da parte interista, sembrano quelle giuste. Quelle cioè di chi s’avvicina al Sacro Graal del calcio europeo “non con ossessione, ma con la giusta determinazione”; come del resto sottolineato dallo stesso Simone Inzaghi. Sì proprio lui, il condottiero di questo quadriennio pieno di tante vittorie e di poche ma dolorose sconfitte, tra cui due scudetti e la Champions di due stagioni fa, lasciata al Manchester City nella notte di Istanbul.
Futuro non scritto – “Il mio futuro? Ora c’è solo la finale Champions, poi ne parleremo con la società”, mette subito in chiaro, facendo intendere che non tutto può essere dato per scontato per pianificare un eventuale futuro ancora a braccetto. Sia chiaro: il popolo nerazzurro ci metterebbe la firma a un addio alla Mourinho, col mister che parte per altri lidi e la Coppa che resta in bacheca. Insomma “La Champions val bene un Inzaghi”, anche se al tecnico deve pesare non poco il fatto che buona parte di questi quattro anni verranno comunque letti sotto l’unica luce del risultato che maturerà sul prato perfettamente rasato della cattedrale del calcio bavarese.
Noi siamo l’Inter – “in cosa questa finale è diversa da quella di Istanbul? Abbiamo messo a frutto l’esperienza fatta e i giorni che ci hanno diviso dalla fine amara del campionato a questa partita. Abbiamo curato e lavorato sui dettagli, e abbiamo fatto il massimo che potevamo, tutti, ne sono certo”, sottolinea ancora Inzaghi. Il resto – non poco, anzi, in verità – lo dicono Lautaro Martinez e Nicolò Barella. Concetto centrale? Il “Noi” ogni volta che si parla di squadra, club, staff tecnico, popolo nerazzurro. Tracciano gli assi cartesiani di una famiglia che si estende nello spazio-tempo calcistico, Martinez e Barella, e che tutta troverà spazio a Monaco di Baviera, rappresentata dagli undici in campo, dai 18mila sugli spalti, dai 20mila in città a caccia di un biglietto, dai 70mila che si riuniranno a san Siro e da tutti quelli sparsi nel mondo ma legati via etere a una sola fede nerazzurra. “La chiave del match? Noi sono i migliori in Europa per il possesso palla, noi proveremo a togliergli il palleggio, allora”, dichiara ancora Inzaghi. Stesse parole pronunciate alla vigilia delle sfide col Barcellona. Tradotto: non difesa e contropiede, ma pressing ragionato a creare quegli spazi in cui lanciare i vari guastatori ispirati dalla regia avanzata dello stesso Lautaro. Vedremo se (anche stavolta) funzionerà.
Belli e possibili – Così Luis Enrique ha disegnato il suo Paris Saint Germain, senza le super figurine del recente passato (Qualche nome? Neymar, Messi, Mbappé….) ma all’insegna della pulizia tecnica e della sfrontatezza. Insomma, un simil-Barcellona che però non abdica alla fase difensiva, organizzata intorno all’ex Roma Marquinhos, prestigioso migrante dalla nostra serie A al pari di Donnarumma, l’ex nerazzurro Hakimi, gli ex partenopei Fabian Ruiz e Kvaratskhelia, l’uomo dei due scudetti un anno solo, avendo vinto per metà quello del Napoli e per l’altra quello del Psg (che – a proposito – insegue il suo personalissimo Triplete stagionale).
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