Inni e canti: Ideologie da sfangare e generazioni perdute :: Le Recensioni di OndaRock
Sguardi disillusi che si intersecano tra un riff noise e una melodia punk, mentre le parole creano squarci generazionali atti a riflettere un tempo perduto e da affrontare nonostante tutto, al netto di cadaveri sotto il letto di un b&b o sparsi come ombre sull’asfalto di una città silente.
Abbondano le metafore, esplicite o implicite, negli undici momenti di “Inni e canti”, il disco che segna il ritorno dei Giallorenzo.
Il quartetto formatosi a Milano nel 2019, composto da Pietro Raimondi, Fabio Copeta, Giovanni Pedersini e Marco Zambetti, ha le idee chiare su come esporre le proprie istanze interiori nei riguardi di una società sempre più incapace di connettersi “analogicamente” a una certa umanità. E’ un melting pot di inquietudini che si espande ancor più nettamente rispetto alle opere precedenti, grazie anche a una maggiore ricchezza strumentale, come esplicano alcuni inserti chirurgici disseminati nel disco, a cominciare da una ritrovata fisarmonica sul finale di “Finalmente orso”, alla quale si aggiunge il coro di Jacopo Lietti (dei Fine Before You Came), Marco Ludovico Perego e Valeria Stanca.
“Spuntano” poi Gheddafi nel centro di Roma, il culto di Ramelli, neofascisti in parata da evitare ovviamente come la peste, e cronache amicali, come quella di Kyrill, amico della band in fuga dalla Russia di Putin, protagonista di “Amico”, ennesima power ballad con fascinazioni da gioventù sonica e richiami alt-rock anni 90, che sono di fatto il nocciolo di un album stilisticamente proiettato al passato ma che tematicamente è totalmente inserito nello scasso odierno, mosso così com’è e a menadito dall’impossibilità di esprimere appieno il proprio tormento politico e umano.
Macchina della Locale, investimi
Così finisce qua
E si faranno i cortei per me
Ma non mi accontenterò del trauma ormai
Per riconoscermi
Sarà più dura d’ora in poi
Tra una rivolta sincera e l’altra, un’introspezione messa al servizio di accordi melanconici che inscenano cascate di lacrime, “Inni e canti” manifesta il disagio profondissimo di una generazione che ha sulla carta perso il treno ma che, comunque sia, non vuole saperne di piegare la testa e genuflettersi alle mode e alle richieste del mondo.
La drammaticità cullante di “Per qualcosa o qualcuno” condensa sul finale questa sorta di concept narrativo, elevando un album da ascoltare per esorcizzare mostri nascosti e magari tornare ai tempi migliori, il tutto osservando però un orizzonte stranamente nuovo e ancora possibile. Del resto, non è un caso che i quattro affermino: “Se delle canzoni diventano inni e canti, è perché di mezzo ci sta un’ideologia”. Una dichiarazione d’intenti netta che dice molto sul percorso di una formazione tanto spavalda quanto, a suo modo, indomita.
03/11/2025




