Inferno Beccaria, salgono a 42 gli indagati nell’inchiesta su agli abusi in carcere. Le vittime sono 33

Quando nell’aprile del 2024 l’inchiesta sugli abusi sui minori detenuti nel carcere minorile di Milano era scoppiata, si era ipotizzato che dopo gli arresti il numero degli indagati potesse salire. E oggi a un anno e quattro mesi di distanza dalla conferenza stampa in cui le pm Rosaria Stagnaro, Cecilia Vassena e l’aggiunta Letizia Mannella, parlarono di “violenza inaudita”, emerge che il numero degli indagati è salito a 42. Cuore dell’inchiesta i pestaggi e le violenze nei confronti dei ragazzini detenuti. Fra gli indagati anche due ex direttrici dell’istituto. Le accuse a vario titolo sono tortura, maltrattamenti aggravati, lesioni, e falso. L’anno scorso erano stati arrestati 13 agenti di polizia penitenziaria mentre 8 erano stati sospesi. Le parti offese sono in tutto 33.
Tra i 42 indagati, figurano le due ex direttrici Cosima Buccoliero e Maria Vittoria Menenti, accusate di condotte omissive, oltre a tre operatori sanitari della struttura. La maggior parte sono agenti della penitenziaria, accusati di aver sottoposto i ragazzi a “ripetute violenze psicologiche e fisiche e umiliazioni”. Soltanto un indagato deve rispondere anche di violenza sessuale. Con la formula dell’incidente probatorio saranno sentiti i 33 ragazzi così da cristallizzare le loro testimonianze in vista di un eventuale processo.
Non episodi, ma violenze continue, crudeli, disumane e degradanti. Ed è per questo che era stato riconosciuto il reato di tortura dalla giudice per le indagini preliminari, Stefania Donadeo. La pratica “reiterata e sistematica, se pur ai danni di diversi minorenni, delle violenze inflitte ha determinato un clima generale di paura, di umiliazione, di vessazione ed anche di indifferenza nei confronti dei bisogni primari dei detenuti minorenni. Minorenni costretti a volte a subire i pestaggi, a volte ad assistere a quelli del compagno di cella, a volte ad udire urla di dolore. Ciò ha creato un clima infernale lontano dalla promessa costituzionale della funzione rieducativa della pena” aveva scritto la giudice nel provvedimento.
Durante gli interrogatori i poliziotti avevano sostenuto di essere stati “soli” a gestire e di essere stati “incapaci” di gestire le situazioni in un ruolo così delicati come un carcere minorile. Ma le intercettazioni, i video, le testimonianze riportavano un quadro di consapevolezza assoluta della gravità delle azioni come quella conversazione in cui uno degli indagati diceva che le “mazzate erano state tante e brutte”.
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