India, perché i dazi di Trump potrebbero essere un’opportunità
Nella classifica del Fondo monetario internazionale che mette in fila i 193 Paesi del mondo per i quali è possibile calcolare il Pil nominale pro-capite, l’India è al 141esimo posto, appena prima della Costa d’Avorio e subito dopo la Cambogia.
In compenso, nella classifica di Forbes dei Paesi con il maggior numero di miliardari (in dollari), l’India è terza, dopo Stati Uniti e Cina. Abbastanza spiazzante, visto che il Pil medio pro-capite negli Usa viaggia intorno a 90mila dollari, quello cinese arriva a poco meno di 14mila e quello indiano sfiora, ma non tocca, quota 3mila.
Se fare paragoni tra l’India e gli Stati Uniti presenta qualche difficoltà, un confronto con la Cina può essere istruttivo. Quando il Pil medio pro-capite cinese era al livello a cui si trova oggi quello indiano, il Paese ospitava non più di 10-15 miliardari. L’India oggi ne ha 200.
La differenza è enorme e non è spiegabile con un’ipotetica maggiore propensione al business degli indiani. Per accorgersene, basta guardare i dati sui miliardari che “si sono fatti da soli”. In Cina i self-made billionaire sono il 90% del totale; negli Stati Uniti – dove gli ultimi decenni, a causa dell’enorme aumento dei costi universitari, hanno registrato una formidabile ossificazione delle differenze sociali – sono il 70%; in India sono solo il 50%, un numero sorprendentemente basso per quella che è da anni la più dinamica delle tre economie. Nella classifica dei Paesi con più miliardari che si sono fatti da sé l’India non e terza, ma 46esima (su 67). Non in zona retrocessione, ma quasi.
Tutti dati che sembrano suggerire come ancora oggi, da queste parti, sia decisivo ereditare una fortuna. A quel punto – per come è strutturata l’economia indiana – continuare a crescere, magari diversificando è relativamente semplice. Senza contare l’effetto moltiplicatore sulla ricchezza delle grandi proprietà immobiliari.
Source link