India e Pakistan, il possibile conflitto. Stefano Feltri: «È il primo test per questo mondo post-americano»
Questo articolo su India e Pakistan è pubblicato sul numero 20 di Vanity Fair in edicola fino al 13 aprile 2025
Con Donald Trump gli Stati Uniti hanno rinunciato al loro ruolo di poliziotto globale, o almeno garante di un ordine internazionale. Il primo test per questo mondo post-americano è ora la possibile guerra tra India e Pakistan.
Il 22 aprile c’è stato un attentato terroristico a Pahalgam, in Kashmir: sono morti 26 turisti. Non è chiarissimo quale organizzazione sia responsabile, ma il governo indiano incolpa il Pakistan: il Kashmir è l’unico Stato a maggioranza musulmana dell’India, e ha sempre avuto una rilevanza particolare e velleità separatiste sotto la forte influenza pakistana. Da quando è al potere Narendra Modi, un nazionalista indù, ha revocato l’autonomia speciale del Kashmir e lo ha militarizzato. Ma questo non ha garantito tranquillità, anzi.
Nel 2019 c’era stato un episodio analogo a quello del 22 aprile scorso: attacco terroristico di matrice pakistana, reazione indiana con raid aereo in Pakistan. L’esercito pakistano aveva risposto abbattendo un caccia indiano. Per una serie di circostanze fortunate e forse irripetibili, il bombardamento indiano non aveva fatto morti, e il pilota del caccia indiano abbattuto si era salvato e i pakistani lo avevano restituito incolume. La pressione degli Stati Uniti – anche all’epoca guidati da Trump, ma nella prima versione, più controllato – era stata decisiva per ridurre il rischio di un’escalation che tra quei due Paesi è sempre molto temuta, visto che hanno entrambi la bomba atomica.
Oggi tutto è più fragile. Il primo ministro indiano Modi ha accentuato la sua caratura nazionalista, e sembra in cerca di una resa dei conti con il Pakistan: ha anche ritirato l’India da un trattato del 1960 che la obbligava a garantire l’accesso all’acqua dei suoi fiumi, una mossa che ha un senso solo se si progetta di far morire di sete i vicini musulmani. In più, le tensioni con la Cina sono cresciute, sia sul piano commerciale che su quello militare, anche perché ormai l’esercito del Pakistan si regge su armamenti e veicoli cinesi. Rispetto a sei anni fa, anche il Pakistan è peggiorato: il leader più popolare, l’ex premier Imran Khan, è in carcere, comandano di fatto i militari, ma a capo dell’esercito c’è ora Asim Munir, molto più incline a cercare lo scontro con l’India rispetto al predecessore Qamar Javed Bajwa che nel 2019 aveva contribuito a evitare il peggio.
Trump ostenta un buon rapporto con Modi – sintonia tra uomini forti al comando – ma la Casa Bianca non sembra avere una vera strategia per l’Asia, troppo distratta dalla guerra commerciale con la Cina e dal negoziato con la Russia. L’India è il Paese che le multinazionali americane considerano l’unica alternativa alla Cina, ora che i dazi e le tensioni geopolitiche consigliano di ricollocare fabbriche e catene di fornitura.
Il Pakistan è stato a lungo un alleato problematico degli Stati Uniti nell’area, manipolabile ma mai affidabile. Dopo la rottura con Washington, negli anni della guerra al terrorismo, il Pakistan è scivolato verso la Cina, che però lo considera troppo instabile. La confusione è tale che nessuno, men che meno Trump, ha la capacità di indirizzare davvero gli eventi. E i rischi aumentano.
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