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Inauguration day, la valigetta nucleare passa a Trump. Che dio ce la mandi buona!

Un techno thriller di Tom Clancy sarebbe perfetto per raccontare le procedure segrete dietro all’Inauguration Day. Nel passaggio di consegne tra Biden e Trump, oggi 20 gennaio, oltre alle fanfare, al giubilo e all’adorazione per il capo, e al lutto ufficiale della parte che ha perso le elezioni, è il trasferimento dell’autorità sul comando nucleare ad essere uno degli eventi più cruciali e simbolici della giornata clou per la democrazia americana.

Lo strapotere del complesso militare industriale statunitense da molti anni poggia su due sistemi chiave: il “nuclear football” e il “nuclear biscuit”. Il football è il nome in gergo della mitica valigetta contenente gli strumenti necessari per autorizzare un attacco atomico contro i nemici, per esempio Russia, Cina o Iran. Passerà di mano da Biden a Trump alle 12:00 in punto ora di Washington (le 18:00 in Italia). In quel momento, il presidente n. 47 presta giuramento e assume ufficialmente il ruolo di Commander-in-Chief. Il trasferimento è immediato: allo scoccare di mezzogiorno, la valigetta di Biden perde operatività, mentre quella assegnata a Trump diventa attiva.

Questa ventiquattrore di cuoio nero (a vederla piuttosto pienotta e pesante) è portata da un ufficiale di alto rango, scelto da uno dei cinque rami delle forze armate, addestrato per garantirne la sicurezza e la disponibilità in caso di emergenza. Il militare si trova sempre, 24/7, a pochi passi dal presidente, ovunque egli vada. Il “football” non è un dispositivo di lancio autonomo dei missili, ma un sistema portatile di comando e controllo, progettato per consentire al capo di autorizzare in ogni momento un attacco nucleare contro i nemici. Contiene: i codici di autenticazione; il ‘libro delle opzioni’, con gli scenari di risposta atomica e i relativi target, le modalità di attacco e le potenziali conseguenze; e infine i dispositivi di comunicazione sicura per contattare il Pentagono, il National Military Command Center (NMCC) e lo Strategic Command (STRATCOM).

Mi sono occupato di questi temi nel mio libro Terza Guerra Mondiale, e scrivendone ho scoperto dettagli degni dei migliori thriller tecnologici e spionistici. Agghiacciante è il libro delle opzioni nucleari. Implica che l’uomo della Casa Bianca, in uno scenario in cui ha 12 minuti per decidere come contrastare un attacco di missili balistici intercontinentali in arrivo dalla Russia, può scegliere, sicuramente d’impulso e senza tante analisi, solo fra tre opzioni: a) uccidere tra i 5 e i 10 milioni di russi; b) provocare 10-15 milioni di vittime; c) massacrare tra 30 e 45 milioni di persone. Sotto pressione, la scorciatoia mentale prevista dalle carte contenute nella valigetta, è soltanto in chiave catastrofista, in crescendo; niente soluzioni diplomatiche.

C’è poi il “nuclear biscuit”, una scheda che contiene i Gold Codes, sequenze alfanumeriche usate per autenticare l’identità del presidente durante uno strike nucleare. Somiglia a una carta di credito, spesso portata dal Commander-in-Chief in tasca o nel portafoglio. Come il football, anche il biscuit cambia autorità alle 12:00 in punto dell’Inauguration Day. Biden dovrà restituire il proprio, che diventa inattivo a mezzogiorno, mentre Trump viene fornito del biscotto poco prima della cerimonia, e sa che è attivato alla stessa ora. Su questo non mancano le leggende. Bill Clinton smarrì il “biscuit” varie volte. Secondo il generale Hugh Shelton, ex presidente del Joint Chiefs of Staff, la ‘carta’ fu ‘dislocata’ addirittura per alcuni mesi nell’anno 2000, e prima ancora nel 1998, subito dopo lo scandalo Monica Lewinsky. Jimmy Carter, pace all’anima, mandò il suo “biscuit” in lavanderia, nella tasca dei pantaloni.

Ora, non c’è bisogno di Tom Clancy per far capire quanto il meccanismo che guida il potente arsenale nucleare americano, con questo doppio sistema valigetta/biscotto, sia vulnerabile, carico di rischi relativi alla dipendenza da reti di comunicazione sicure e quindi potenziale bersaglio per attacchi informatici o sabotaggi da parte delle nazioni facenti parte dell’asse del male. Comunque sia, Trump da oggi ha in pugno lo scettro del comando, il monopolio tecnologico, politico e strategico – da non condividere nemmeno con lo strabordante Elon Musk – e cioè il potere assoluto di scatenare un massiccio attacco atomico (contro l’Iran, se non si mette in riga?) ordinando in pochissimi minuti il lancio di 400 missili balistici intercontinentali LGM-30G Minuteman III, tenuti in stato di costante allerta in altrettanti silos (è solo una parte della “triade” di deterrenza nucleare che comprende anche i bombardieri dell’USAF e i sottomarini della Marina; gli Stati Uniti possiedono 5.244 testate nucleari, la Russia ne ha 5.889, la Cina 500).

La verità è che il presidente americano – in caso di crisi internazionale o attacco nemico – non ha alcuna flessibilità, cioè il sistema di comando e controllo a supporto del capo, progettato dai militari del Pentagono, è strutturato per guidare il leader dell’America invariabilmente verso una sola decisione: lanciare i missili in caso di attacco, reale o apparente che sia. Malfunzionamenti tecnici, allarmi fasulli o errori sono stati decine in passato, per cui fin qui ci è andata bene, come umanità.

Da oggi, quindi, è questo il vero potere che passa di mano, oltre a quello politico e finanziario costituito da un’amministrazione adulata da oligarchi miliardari high tech di estrema destra. Un’autorità che Trump vede appaiata specularmente al Cremlino da Vladimir Putin (insieme Stati Uniti e Federazione Russa possiedono il 90% delle testate nucleari intercontinentali). Una potestà di infliggere morti e distruzioni al cui confronto le guerre a Gaza e in Ucraina sarebbero come un piccolo polveroso incidente. Che poi il nuovo ministro della Difesa scelto da Trump, Pete Hegseth, sia un giornalista e conduttore di Fox TV, in questo bel quadro, non è certo di gran conforto.

Che dio ce la mandi buona.


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