Società

In Medio Oriente la pace non germoglierà per incanto. E l’Europa dovrebbe pensarci

Questo articolo sul Medio Oriente è pubblicato sul numero 15 di Vanity Fair in edicola fino al 8 aprile 2025

L’Europa, alle prese con la guerra in Ucraina e la nuova amministrazione Trump, rivolge la sua attenzione agli sconvolgimenti in Medio Oriente a giorni alterni. Eppure gli eventi in corso stanno trasformando il volto di una regione che è appena dietro l’angolo di casa: per ben due volte, nell’ultimo anno, la guerra per procura tra Iran e Israele si è mutata in scontro diretto.

Le truppe di Tel Aviv hanno imposto pesanti sconfitte a Hezbollah in Libano e ad Hamas nella Striscia di Gaza ormai al collasso. E mentre a Beirut le istituzioni cercano di colmare il vuoto della politica, in Siria il regime di Assad si è sgretolato in poche settimane, dopo più di mezzo secolo al potere. A Est del Mediterraneo, i conflitti si accompagnano a disordini e derive autoritarie: nonostante i crolli in borsa e le manifestazioni di piazza, in Turchia il presidente Recep Tayyip Erdogan ha incarcerato il suo principale rivale politico. E in Israele, dopo una tregua durata un paio di mesi, Benjamin Netanyahu – col sostegno della destra estremista e religiosa – ha ripreso a bombardare Gaza per il proprio tornaconto politico e per sfuggire alla magistratura che lo tallona. Alla guerra contro i nemici esterni, il più longevo premier dello Stato ebraico ha aggiunto quella contro i nemici interni che ostacolano la sua leadership e una contestatissima riforma della giustizia.

Donald Trump può anche minacciare di scatenare l’inferno – che a Gaza conoscono fin troppo bene – se Hamas non libera tutti gli ostaggi che ancora detiene e non esce di scena. Ma l’influenza degli Stati Uniti sui governi e i popoli arabi non è più quella di una volta. È diminuita un po’ di più con ogni spedizione di armi a Israele e con ogni veto americano sulle risoluzioni di condanna all’Onu. In 17 mesi di brutale conflitto l’amministrazione Trump, esattamente come quella Biden, non ha preservato nemmeno i diritti più basilari dei palestinesi, come l’accesso a cibo, acqua, medicine e riparo. Questa mortificazione delle norme internazionali non è senza conseguenze. In Cisgiordania, le città e campagne palestinesi lasciate alla mercé dei coloni stanno già subendo brutalità che – come dimostra la vicenda di Hamdan Ballal, il regista palestinese premio Oscar per il documentario No Other Land – ricordano quelle riservate a Gaza. È tutto il contrario di ciò che chiede il resto del mondo.

L’idea del diritto alla resistenza non è affatto morta nell’opinione pubblica palestinese, araba e globale. Predire il futuro del Medio Oriente è sempre stato rischioso, ed è ancor più difficile se alle variabili fuori controllo di una regione in perenne assetto di guerra si aggiunge quella di un presidente americano volubile e astioso che ha contribuito a gettare benzina sul fuoco ipotizzando di costruire una «Riviera» là dove oggi c’è una landa desolata. Ma è un dato di fatto che la pace non germoglierà per incanto e che prima o poi l’Europa distratta si troverà a fare i conti con le conseguenze della propria assenza. Perché fintanto che la soluzione dei due Stati continuerà a essere svilita, il «nuovo Medio Oriente» non sarà più stabile e pacifico di quello vecchio.

Alessia De Luca giornalista e Advisor ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. È responsabile della newsletter Daily Focus sui principali avvenimenti di attualità a livello globale.

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