Politica

In Australia nessun effetto Trump: i laburisti vincono per le inaudite proposte dei liberali

di Adriano Tedde

In Australia si dice che alle elezioni non sono mai le opposizioni a vincere, ma i governi a perdere. Sabato 3 maggio abbiamo assistito all’eccezione a questa regola. La riconferma dei laburisti al governo è l’effetto del fallimento del messaggio politico formulato dall’opposizione liberal-nazionale.

Contrariamente a quanto affermato altrove, le ragioni del voto in Australia non sono paragonabili a quelle canadesi. Sebbene impopolare in Australia, gli elettori non sono andati al voto pensando a Trump. La loro è stata una bocciatura di proposte inaudite avanzate dall’opposizione, ritenute insufficienti a risolvere problemi domestici, come l’eccessivo costo della vita.

Mentre i laburisti di Anthony Albanese raggiungono la maggioranza assoluta con 87 seggi nella camera bassa (dieci in più rispetto alla vittoria del 2022), la disfatta dei liberali, fermi a 39 seggi, è completa ed include la mancata rielezione del leader Peter Dutton e di tutti i candidati delle città. Il futuro del partito è ora in mano ai soli rappresentanti delle zone rurali che devono trovare un nuovo leader e reinventarsi un programma. Dutton aveva impostato la campagna liberale su tre idee principali: l’adozione del nucleare come fonte energetica, la riduzione del numero di dipendenti del governo federale con stop allo smartworking e la riduzione del costo della benzina di 25 centesimi a litro.

Queste proposte hanno suscitato molti dubbi. In particolare, mentre l’idea del licenziamento di dipendenti federali non ha generato alcun entusiasmo, la paventata abolizione dello smartworking ha terrorizzato chi conta sul lavoro da casa, soprattutto le donne, per stare vicino ai bambini che sono ammessi alle scuole pubbliche soltanto dall’età di quattro anni. Mentre i più ricchi possono fare affidamento su strutture private, per la maggioranza delle famiglie il lavoro da casa rimane vitale per garantire salari pieni in assenza di scuole dell’infanzia pubbliche. Di fronte alle critiche, i liberali hanno ritirato l’idea a metà corsa.

Il nucleare era stato presentato come soluzione per la sicurezza energetica di fronte alle incertezze geopolitiche date dalla competizione strategica Usa-Cina. Da sempre contraria al nucleare, l’Australia necessiterebbe di decenni per raggiungere l’indipendenza energetica in quel settore. Gli australiani però chiedono soluzioni a breve termine perché, prima della sicurezza energetica, la loro ansia si rivolge ai disastri naturali contro i quali lo sviluppo di energie rinnovabili è più allettante del nucleare. Inoltre, nonostante le rassicurazioni sulla riconversione al nucleare delle centrali a carbone, in più luoghi si sono verificate dimostrazioni nel timore della costruzione di nuove centrali.

Il taglio del prezzo della benzina è apparso una misura risibile di fronte a un costo della vita travolgente che affligge la classe media, ceto dominante della società. A destare le maggiori preoccupazioni è il mercato immobiliare, terreno di caccia per investitori facoltosi che spingono in alto i prezzi impedendo l’acquisto di casa a milioni di salari medio-bassi. In attesa di coraggiose politiche di regolamento pubblico dell’accesso al mercato, mentre i liberali avevano promesso ai giovani di poter detrarre dalle tasse gli interessi pagati sul mutuo, gli elettori hanno premiato i laburisti che immettono fondi per la costruzione di case e promettono agli acquirenti di prima casa un mutuo con anticipo del solo 5%.

Ciò che emerge dalle elezioni è una nazione di “centro”, pragmatica e refrattaria al cambiamento. L’arrivo di un leader le cui politiche destano incertezze è stato scongiurato con un voto contrario. Inoltre, la deriva destroide dei liberali, distinta da negazionismo climatico e toni punitivi contro migranti, indigeni e lavoratori, non piace a tanti elettori liberali che privilegiano posizioni di centro-destra. Un altro dato importante è che quasi un terzo del corpo elettorale ha votato per candidati estranei al bipartitismo. Il desiderio di un’alternativa ai partiti tradizionali, dunque, cresce anche in Australia. Tuttavia, un rigido sistema maggioritario, basato su preferenze trasferibili, priva questi elettori di una piena rappresentanza in parlamento (soltanto una decina di seggi andrà a candidati indipendenti).

Infine, quasi assente dal dibattito elettorale, rimane il quesito della politica estera che vede l’Australia dipendere dagli Usa, soprattutto in campo militare. Riuscirà un governo laburista forte, nell’era di Trump, a adottare una maggiore autonomia dal lontano alleato?

* ricercatore a Perth


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