Società

Imparare la felicità al Festival della Consapevolezza che tra gli ospiti ha anche Kasia Smutniak

Questo articolo è pubblicato sul numero 38 di Vanity Fair in edicola fino al 17 settembre 2024.

«Consapevolezza, o mindfulness, nasce dal prestare attenzione, intenzionalmente, al momento presente in modo non giudicante», così la definisce il Dr. Jon Kabat-Zinn, professore emerito di medicina presso la Medical School dell’Università del Massachusetts, considerato il padre della mindfulness in ambito scientifico, applicata al programma MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction) per ridurre il dolore cronico.

Proprio a questa autoregolazione dell’attenzione, foriera di curiosità e accettazione verso il momento presente, e di apertura di nuove prospettive di arricchimento personale è dedicato il Festival della Consapevolezza che, da tre anni, riunisce scienziati, artisti e visionari di rilievo internazionale per diffondere un rinnovato pensiero positivo, di benessere e di miglioramento del proprio stato di felicità.

In un’era in cui siamo perennemente connessi e distratti dal qui e ora, la capacità di sintonizzare cuore, mente e spirito vivendo una vita più serena e con energia vitale potenziata è uno strumento potentissimo per amplificare la capacità di auto-guarigione dell’essere umano. Vivere una vita soddisfacente, ridurre lo stress e aumentare il proprio healthspan, attraverso un lavoro di immersione nel proprio sé, è da secoli il segreto di tradizioni filosofiche antiche dal buddismo, alla medicina cinese e lo yoga e oggi è tra le vie preferenziali alla longevità anche per le generazioni più giovani.

Il merito di questo spostamento di priorità va attribuito a un concorso di cause, Covid, esplosione dei social network e crescente attenzione al benessere fisico e mentale, che insieme hanno dato una spinta alla diffusione di pratiche, anche online, per migliorare il proprio stile di vita all’insegna della positività. Ricerche condotte nel periodo dal 2004 al 2020 hanno confermato l’impennata della keyword consapevolezza, accesa dal desiderio post pandemia di «participatory medicine», coinvolgimento del singolo con il suo approccio positivo, con modifiche dello stile di vita, con tecniche di rilassamento e biohacking al miglioramento delle proprie condizioni di salute.

Tra gli tanti speaker ospiti della terza edizione del Festival dedicato al potere del silenzio, nel quale, come diceva Mahatma Gandhi «l’anima trova il percorso in una luce più chiara, e ciò che è sfuggente e ingannevole si risolve in un cristallo di chiarezza», c’è Gianluca Gotto, scrittore, e penna dietro il blog Mangia, Vivi, Viaggia, nonché nomade digitale e autore di «Quando inizia la felicità». Torinese, a soli vent’anni spinto dall’avventura, è partito per Australia e poi per il Canada dove a vissuto, continuando poi a nutrire la sua curiosità con il viaggio, quasi come fosse un Tizinao Terzani dell’era digitale. Abbandonate le certezze del sistema sociale tradizionale, ha scelto come base l’Asia, dove scrive di come trovare serenità ed equilibrio stando lontano dalle regole sociali consolidate ed esplorando senza sosta dentro di sé. Gli abbiamo chiesto di condividere le sue lezioni sulla felicità.

5 lezioni per la felicità

«I miei cinque pilastri sono essere viaggiatori, non solo nel mondo ma anche nella propria quotidianità. Non temere i cambiamenti, perché questo equivale a temere la vita. Imparare a fare un passo indietro, perché non tutto quello che succede necessita di un nostro coinvolgimento. Prendersi cura delle relazioni con tempo e presenza. Fare ciò che si ama, e quando proprio non si può, amare ciò che si deve fare».

Che cosa l’ha portato a scrivere di felicità?
«Ho iniziato quando ho trovato la mia, e come naturale conseguenza ho sentito un impulso a condividere ciò che avevo scoperto. È successo nel 2016, all’inizio di questo mio stile di vita che mi permette di lavorare in remoto e vivere viaggiando: ho aperto un blog con la mia compagna Claudia per parlare a quelle persone che, proprio come noi qualche tempo prima, si sentono fuori posto, in ritardo, sbagliate all’interno degli schemi più comuni della nostra società. Sul blog condividevo riflessioni, spunti, storie di viaggio e di vita che motivassero i lettori e le lettrici a cercare le proprie coordinate della felicità. Due anni dopo ho pubblicato il mio primo libro, autobiografico, che si intitola proprio “Le coordinate della felicità”».

C’è stato un episodio in particolare che ha contribuito a questa svolta…
«Nel 2019 mi sono ammalato di dengue a Bali e sono stato ricoverato per una settimana a Bangkok. Quando sono stato dimesso ero sano nel corpo ma qualcosa si era rotto dentro di me, nei miei pensieri. È stato come se all’improvviso si fosse spenta la luce nella mia vita. Intorno a me c’erano tutte quelle cose che avevo sempre desiderato e mi avevano reso felice, ma non ero più in grado di apprezzarle. Mi sono ritrovato dentro una depressione improvvisa e a quel punto ho realizzato che dovevo considerare una strada diversa, mai intrapresa: invece di cercare la soluzione nel mondo, viaggiando e attuando cambiamenti, dovevo fare un viaggio interiore. Non cercare la felicità, ma un sentimento più profondo, che dipendesse solo da me: la serenità. Questa ricerca mi ha portato a scoprire il buddhismo, che da cinque anni pratico non come religione ma come uno stile di vita, come un modo consapevole ma leggero di stare al mondo».


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