Liguria

Ilva, accordo 2005 per Cornigliano: intervista a Burlando


Genova. Nei giorni in cui il futuro dell’ex Ilva di Cornigliano torna d’attualità, con la discussione aperta sull’ipotesi di un ritorno della fusione a caldo e con la costruzione di un forno elettrico di ultima generazione per rendere lo stabilimento quasi del tutto autonomo da Taranto, a tornare d’attualità è anche l’accordo di programma del 2005, intesa basata primariamente proprio sulla chiusura del ciclo a caldo, con l’addio ad altoforno e gasometri, e la trasformazione della fabbrica in base ai principi della verticalizzazione.

L’accordo di programma del 2005 per l’Ilva di Cornigliano prevedeva che a fronte della chiusura dell’attività a caldo dello stabilimento venisse attuato un percorso di continuità occupazionale e del reddito. L’accordo di programma sull’Ilva di Cornigliano, siglato da 5 ministeri oltre che da enti locali e Autorità portuale, era stato sottoscritto in un momento positivo per l’azienda della famiglia Riva con la finalità di una tutela ambientale e urbanistica per il territorio ed è stato lo strumento che ha permesso, in questi anni, di mantenere i livelli occupazionali per i circa 2000 lavoratori dello stabilimento genovese.

Tra le figure che firmarono quell’accordo – citato in queste ore come una sacra scrittura da chi non contempla il ritorno della produzione siderurgica a caldo a Cornigliano – c’era Claudio Burlando. Ex ministro, ed ex sindaco, nel 2005 era da poco stato eletto presidente della Regione Liguria. Oggi, attivo osservatore della politica cittadina e nazionale, fondatore e animatore dell’ormai celebre chat Vasta, ripercorre in un’intervista a Genova24 i punti salienti di quel processo: “Ci fu comunione d’intenti”. Sull’ipotesi del forno elettrico a Genova e sul piano del governo per Acciaierie d’Italia in A.S.: “Cornigliano deve decidere se tornare a essere una grande cosa, ma ci sono troppe incognite, a partire dall’assenza di un imprenditore”.

Burlando, qual è il contesto storico in cui prende forma l’accordo di programma del 2005?
“La vicenda che portò all’accordo di programma di Cornigliano si sviluppa più o meno in vent’anni, dall’85 al 2005. La firma dell’accordo è avvenuta nell’ottobre 2005 e a luglio c’era stata l’ultima colata dell’altoforno. Questo per dire che la forma precedette la sostanza. Ma era da tempo che io, e non solo io, mi ero reso conto che la produzione dell’Ilva, con un altoforno concepito tra la seconda guerra mondiale e la metà del secolo scorso, non poteva andare avanti in questi termini”.

Nel 2005 lei era appena diventato presidente della Regione Liguria…
“Ad aprile sono stato eletto, e a fine aprile l’intesa era di fatto raggiunta. Ma lo spegnimento dell’altoforno e un nuovo futuro per Cornigliano erano già stati al centro della mia campagna elettorale, nonostante l’allora sindaco di Genova, Beppe Pericu, mi avesse sconsigliato di affrontare in quella fase un tema così delicato”.

Chi erano gli interlocutori e quali furono le linee guida grazie alle quali si arrivò alla firma dell’accordo?
“Quello che trovo significativo non è solo chi furono i protagonisti ma la comunione d’intenti, lo spirito solidale che li legava. C’era una sintonia piena con Beppe Pericu, e con l’allora presidente della provincia Alessandro Repetto. C’era un rapporto solido con i lavoratori e con la Fiom, e penso a Franco Grondona, e poi con la famiglia Riva, Emilio e Claudio, che rappresentavano quel tipo di industria italiana di famiglia che oggi sta tendendo a scomparire. E poi c’erano i cittadini, in particolare le donne di Cornigliano, Patrizia Avagnina, che ancora è attiva, e Leila Maiocco, così importanti per la battaglia per la difesa della salute e dell’ambiente. Al tempo era chiaro a tutti che senza il ciclo a caldo i posti di lavoro sarebbero diminuiti ma la protezione sociale era garantita, e lo è ancora oggi, 20 anni dopo. Per non parlare dei risultati per la città, in termini di aree, di riassetto della viabilità, di bonifica, di nuovi posti di lavoro negli studios, e altri risultati che devono ancora oggi dare i loro frutti, come il parco e la scuola che io avrei voluto vicino a villa Bombrini ma Bucci ha avuto altre idee, adesso vedremo la giunta Salis cosa avrà intenzione di fare…”

Nel 2005 Genova chiuse, non solo simbolicamente, la pagina che la vedeva al centro del triangolo industriale. Fu doloroso?
“E’ chiaro che Genova, e Cornigliano in particolare, sacrificò l’affaccio al mare in nome dell’industria, funzionalmente al sistema Paese, basti pensare che in Liguria avevamo tre centrali a carbone. Ma era una logica del dopoguerra e, alla fine del secolo, era chiaro che il miracolo italiano aveva avuto il suo prezzo in termini di squilibrio tra lavoro e ambiente, tra lavoro e salute. Il ciclo a caldo a Genova era veramente di vecchia concezione ed era necessario un superamento. E’ in quegli anni che entra in gioco il concetto di verticalizzazione della produzione dell’acciaio. Genova avrebbe dovuto specializzarsi nella laminazione a freddo, la banda stagnata, sulla base della materia inviata da Taranto con investimenti su quelle linee produttive”.

Un piano che, però, non ha funzionato…
“E’ la parte di Taranto che è mancata clamorosamente. Dal 2005 al 2025 c’è stato prima Riva, poi uscito di scena, e poi Mittal, oltre a diverse gestioni commissariali, ma la sostanza è che nessuno ha avviato un serio progetto industriale e ambientale. E il Paese non ha mai veramente deciso cosa fare di quella realtà senza la quale, però, la filiera, quella del Nord in primis, non regge”.

Ma torniamo indietro. Come fu presa dalla città l’ipotesi della chiusura dell’altoforno?
“La presentai qualche mese prima della firma al teatro Modena di Sampierdarena, che era strapieno. C’erano sindacati e c’erano comitati. Ma non ci furono contestazioni”.

Ma è vera la storia di Gianni Letta che minacciò Emilio Riva di tiragli una sedia?
“Altroché. L’ho raccontata solo di recente ma è andata così. Nella riunione preparatoria a Roma prima della firma vera e propria, in ottobre, ci fu uno scontro tra i due. I termini dell’accordo erano molto chiari per quanto riguardava gli investimenti necessari da parte dell’azienda, dei fondi che il governo avrebbe stanziato per la bonifica e di quelli che avrebbero dovuto essere impiegati dagli enti locali per supportare l’operazione da un punto di vista soprattutto sociale. Riva provo a trattare fino all’ultimo ma Letta fece quel gesto, come a tirargli una sedia, e gli urlo che l’accordo non si sarebbe cambiato di una virgola. E così è stato”.

Cosa resta oggi dell’accordo di programma del 2005?
“Intanto che nessuno dei lavoratori è rimasto per strada. Ma l’accordo, e di questo si è parlato forse troppo poco, ha portato un sacco di soldi a Genova, i fondi per la bonifica e la risistemazione dell’assetto di Cornigliano hanno portato alla possibilità di convertire le aree per altre attività industriali, e il rilancio di Ansaldo passa anche da lì, alla possibilità di un nuovo depuratore, anche se non è ancora finito, alla Guido Rossa e all’urbanizzazione di Cornigliano, alla viabilità di sponda destra e sinistra sul Polcevera, anche in questo caso non conclusa, e al cosiddetto Lotto 10 di collegamento tra la gronda a mare e l’autostrada, e poi abbiamo acquistato Villa Bombrini e abbiamo realizzato gli studios dove oggi è attiva la Film Commission. Ricordo la prima grande produzione: Giorni e Nuvole, del regista Silvio Soldini, e il grande lavoro svolto dal direttore della Film Commission Andrea Rocco”.

La rinascita di Cornigliano però si è attuata solo a metà…
“E’ vero, Cornigliano non è ancora a posto ma la questione che subentra è anche di tipo sociale, quel quartiere è stato abbandonato dagli abitanti storici, che si sono spostati in altre zone, soprattutto verso il centro, e ora sono in atto processi difficili e lunghi, sui quali è necessario impegnarsi ancora”.

Veniamo all’oggi: presto bisognerà decidere sul futuro di Cornigliano e di Genova. Come la vede?
“La premessa è che sulla vicenda storica dell’accordo ho tutti gli elementi ma su quello che sta accadendo oggi mi limito a fare alcune osservazioni, diciamo, di buon senso perché non conosco tutte le dinamiche in gioco. Ma sì, bisogna decidere se Cornigliano vuole tornare a essere una cosa importante: che si alimenti da solo, che sia alimentato da Taranto, da Piombino o da Marsiglia lo si vedrà da un piano industriale che, però, attenzione, non è il governo a dover fare. Obiettivi, dimensioni, tempistiche, investimenti dipendono da chi sarà il soggetto individuato attraverso una gara che ancora deve essere bandita. Ciò detto non si può non tenere conto di come gli impianti di produzione oggi siano una cosa completamente diversa rispetto al passato, mi pare sia stato evidenziato anche nell’incontro di mercoledì organizzato dalla Fiom”.

Burlando, crede che l’accordo del 31 luglio potrà chiarire le cose?
“Ho sentito che il ministro ha definito quell’accordo “storico”. Ecco, penso che questo sia un aggettivo che si usa troppo spesso e a vanvera. Non c’è ancora un’aia. Non c’è ancora un imprenditore individuato per attuare il piano, che ci metta i soldi, per dirla in parole povere. Un’altra incognita è l’atteggiamento che avrà la Puglia, su Taranto e Gioia Tauro. Ci sono troppi elementi di incertezza e non a caso la premier Giorgia Meloni, sempre molto attiva sui dossier di peso, mi pare stia avendo una posizione defilata. E così anche Salvini e Tajani”.

L’hanno convinta le dichiarazioni della sindaca Silvia Salis sulla questione forno elettrico?
“E’ stata molto brava”.




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