Il top management deve riflettere sulle regole di ingaggio
L’ingaggio. Termine che in prima battuta fa pensare alle “regole d’ingaggio”, che in ambito militare definiscono le linee guida per un impiego corretto della forza. Forse superate negli attuali conflitti, in quanto prima si spara e poi si va a vedere chi si è colpito. Oppure ai “premi d’ingaggio”, comuni nel mondo dello sport, mutuati ora anche in ambito manageriale, visti i pacchetti retributivi messi in campo da primarie società per assicurarsi i migliori top manager. E poi, più in generale, quando nelle imprese si vuole sfuggire dalla terminologia inglese, piuttosto che di engaged, si parla comunemente di soggetto ingaggiato. Termine che starebbe a indicare una categoria di persone sul cui impegno consolidato l’azienda può fare affidamento. Ora, dai recenti dati dell’Osservatorio Hr innovation practice del Polimi, basati su un ampio campione di imprese e di lavoratori, emerge che solo un 17% risulta pienamente ingaggiato. Pur sapendo che numerose sono le aziende che fanno regolari engagement survey al proprio interno, per le quali il dato macro può risultare più o meno condiviso, questo impietoso riscontro deve far riflettere il top management sulle politiche di gestione delle persone. Guardando sia al passato, sia al presente e soprattutto al futuro. Partendo dal passato, si è assistito a un quinquennio post pandemia incredibile, con le società protese a smaltire le promesse in termini di people centricity maturate sotto l’emotività dei lockdown. E i dipendenti a ripensare ai propri valori esistenziali e a valutare il cambiamento come una risposta istintiva a domande che richiederebbero approfondimenti impegnativi. E così, con il ’20 parte la grande stagione dei benefit. Li rinforzano le aziende che già li avevano. Li rincorrono quelle sprovviste che possono scegliere dall’ampio catalogo dei premi fedeltà. Cade inoltre il concetto della postazione fissa e le imprese disegnano il lavoro attorno alla persona, assecondando orari e localizzazione, con il portatile che funge da connettore e da contatore. Trattenere e attrarre. I talenti, come al solito. Omologando come tali anche giovani esperti nelle nuove tecnologie, emersi come vitali in una fase di esplosione dell’innovazione. Aspetti materiali finalizzati a rendere la vita aziendale più piacevole, che vengono opportunamente corredati e nobilitati dai propositi di stimolanti purpose, dei quali si dotano con saggezza le aziende più argute. Passando ora al presente, immaginare che in una riunione di cinque persone ce ne possa essere una sola fortemente motivata può creare perplessità e legittimare il dubbio sull’efficacia degli interventi attivati per risolvere un malessere nel rapporto tra individuo e lavoro, che risulta essere profondo. Né giova addebitare ai giovani il deludente riscontro, se si pensa che quasi il 40% dei lavoratori ha più di 50 anni. E peraltro alcuni di loro occupano posizioni di responsabilità, fatto che richiede un decoroso livello di motivazione. Quadro fragile, soprattutto ora che valori importanti quali diversità, equità e inclusione sono sotto attacco e al contempo scarsamente difesi. E dove temi aggreganti sulla sostenibilità vengono progressivamente diluiti, inquinando lo spirito di seducenti purpose, con il silenzioso compiacimento di molti degli attori coinvolti. Possibile il rischio che quel 17% rimanga una foto ricordo di un periodo, in fin dei conti, non così negativo. E poi il futuro. Un grande buco nero, dove la gestione della complessità viene surclassata da quella dell’incognito, con l’alternarsi, in sincopata successione, di scenari imperscrutabili. Materia complicata e nuova, anche per manager collaudati, affetti da incolpevole impreparazione. E ora, davanti alla prospettiva di dover affrontare l’ennesimo cambiamento, cresce il bisogno di non perdere i punti di riferimento. “Dipenderai meno dal futuro se avrai in pugno il presente.” Seneca. Parafrasando, avere un’organizzazione, una squadra, un team ingaggiati è oggi la priorità per il top management. Che deve pertanto risultare autentico, credibile nei messaggi, profondo nella comprensione dei temi che riguardano le persone, sinceramente impegnato nel ridurre i gap retributivi, affidabile nell’affermazione che le persone vengono prima del profitto. Chiare regole d’ingaggio per affrontare compatti imprevedibili sfide.
Presidente onorario, Eric Salmon & partners
Source link