Il taglio della seconda aliquota Irpef deve attendere. Ecco come cambierà il fisco per 35 milioni di dipendenti e pensionati
Il taglio dell’aliquota Irpef del 35% deve attendere. La maggioranza ha deciso che se ne riparlerà nei prossimi mesi, con in mano i dati definitivi sui conti del 2024 e sul gettito del concordato preventivo biennale tra fisco e partite Iva, da cui il viceministro Maurizio Leo sperava di ricavare i 2,5 miliardi necessari per ridurla di due punti ma che nella prima tornata ne ha raccolti appena 1,3. Il 2025 inizierà quindi senza alcuna novità positiva sul fronte fiscale per le categorie che insieme costituiscono l’85% dei contribuenti Irpef: i 22 milioni che hanno solo reddito da lavoro dipendente e i 13,5 milioni che vivono della loro pensione. Se il “nuovo” taglio del cuneo porterà un piccolo beneficio ai lavoratori che guadagnano tra 35mila e 40mila euro, chi ha redditi bassi subirà dolorose perdite. E non è in vista alcun intervento per rimediare alla regressività di un sistema che al momento premia più i ricchi tassandoli, in proporzione, meno del ceto medio caro a Leo.
La Lega rivendica da lunedì sera di aver ottenuto l’ampliamento da 30 a 35mila euro del tetto di reddito da lavoro dipendente sotto al quale si può accedere alla flat tax per la parte di lavoro autonomo. Ma è una ulteriore beffa per chi tira avanti con il suo stipendio e non ha quindi accesso al regime di favore con aliquota unica del 15% che il Carroccio ha voluto per le partite Iva (e intende ampliare ancora). Tanto più che, se dichiara oltre 35mila euro, quel contribuente fa parte del drappello di 6,4 milioni di persone che – complice la fortissima propensione al nero degli autonomi e il continuo svuotamento della base imponibile dell’Irpef in favore di imposte sostitutive agevolate – versano il 63,4% di tutta l’Irpef e non hanno goduto della riduzione del cuneo contributivo.
Cosa resta allora della promessa di Leo di alleggerire quel carico sul ceto medio che (parole sue) “si sta impoverendo“? Per ora nulla. Con la manovra per il 2025 il governo si limita a confermare il taglio delle aliquote da quattro a tre, con l’unificazione delle prime due. A partire dal 2024, come è noto, quella applicata al secondo scaglione (da 15mila a 28mila euro) è stata ridotta dal 25 al 23%, allineandola a quella del primo scaglione (redditi fino a 15mila euro). Un intervento che costa a regime 5,2 miliardi l’anno e, stando ai calcoli dell‘Ufficio parlamentare di bilancio, porta benefici molto limitati per le fasce deboli: per chi non arriva agli 8.150 euro annui non cambia nulla mentre un lavoratore dipendente senza carichi familiari e senza detrazioni per oneri con redditi da 8.150 a 15mila euro l’anno ci “guadagna” poco più di 6 euro al mese. Appena oltre i 15mila euro il vantaggio diminuisce – perché si azzera l’incremento della detrazione – per poi tornare ad aumentare fino a raggiungere gli 8,3 euro al mese intorno ai 20mila euro e stabilizzarsi a 21,6 euro al mese sopra i 28mila euro. L’anno prossimo la situazione resterà immutata. Vale a dire che chi ha un patrimonio medio sopra i 15 milioni di euro continuerà a pagare, come calcolato in un paper di Matteo Dalle Luche, Demetrio Guzzardi, Elisa Palagi, Andrea Roventini e Alessandro Santoro, un’aliquota effettiva del 32%, sotto quella applicata ai redditi tra 28mila e 50mila euro.
In compenso gli effetti del taglio del cuneo verranno resi permanenti attraverso un bonus per i lavoratori con reddito sotto i 20mila euro e una nuova detrazione Irpef per chi supera quella cifra. La detrazione si ridurrà progressivamente a partire dai 32mila euro fino ad azzerarsi a 40mila, per evitare il “salto” che quest’anno faceva perdere l’intero beneficio appena il reddito superava anche di un solo euro quota 35mila. Il nuovo sistema porta però con sé altri guasti: lo stesso Upb ha stimato che 800.000 lavoratori si ritroveranno sul conto in media 380 euro in meno rispetto a quanto ottenuto nel 2024.
Un dipendente occupato per 12 mesi con 30mila euro di stipendio e altri redditi per 10.000 euro perderà l’intero beneficio della contribuzione, pari a quasi 86 euro al mese. E uno stagionale impegnato per 6 mesi all’anno con un salario complessivo di soli 6mila euro dovrà rinunciare a quasi un quarto dell’aiuto (427 euro l’anno) che gli derivava dalla riduzione del cuneo. In più, tra i 32mila e i 40mila euro l’aliquota marginale effettiva, quella cioè che si applica a un eventuale aumento di reddito, volerà al 56% scoraggiando gli straordinari e rendendo assai accidentata la strada dei rinnovi contrattuali ancora attesi da milioni di lavoratori. Non proprio quello che ci si attendeva dal governo che, fermamente contrario al salario minimo, aveva garantito forte sostegno alla contrattazione collettiva.
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