Il sistema sanitario sia centrato sulla persona
La sanità è una questione nevralgica per il paese. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ha richiamato l’attenzione su questo tema mettendo in evidenza due aspetti divergenti: da una parte, l’enorme potenziale della ricerca scientifica in ambito sanitario, dall’altra, la crescente difficoltà di accedere alle cure e le lunghe liste d’attesa.
Eppure, una sanità accessibile è una forma di “diritto di cittadinanza” riconosciuto dalla nostra Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (articolo 32). Un principio che trova attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale istituito nel 1978 da Tina Anselmi, prima donna a ricoprire l’incarico di Ministro della Salute della Repubblica italiana. Un Servizio finemente definito dallo stesso Presidente Matterella «presidio insostituibile di unità del Paese» e pertanto «un patrimonio prezioso da difendere ed adeguare». Un diritto che dobbiamo salvaguardare con ancora maggiore tenacia di fronte alle laceranti polarizzazioni e alle crescenti povertà.
Un sistema sanitario, quello italiano, che nelle ultime settimane è stato messo sotto osservazione, anche a livello internazionale, dalla rivista The Lancet. Un editoriale che – sebbene non rispecchi pienamente lo stato dell’attuale sistema e non fornisca comparazioni con altri Paesi – ha evidenziato alcuni profili di attenzione relativi al finanziamento e alla programmazione. In particolare, la frammentazione infrastrutturale e amministrativa dei dati sanitari e la ridotta digitalizzazione sanitaria determinano una scarsa interoperabilità con conseguenze che pesano, oltre che sui costi, sulle esperienze dei pazienti. Aspetti che, messi in ulteriore luce dalla pandemia, impattano sull’efficienza del Sistema Sanitario Nazionale e, al contempo, amplificano le disuguaglianze regionali e territoriali, nonché tra aree metropolitane e periferiche. Senza dimenticare il fenomeno della mobilità sanitaria, che dovrebbe idealmente riguardare solo cure di particolare complessità, per le quali è preferibile rivolgersi ai centri di alta specializzazione. In varie regioni italiane si riscontra invece una mobilità a tutto campo, che è socialmente onerosa ed economicamente inefficiente. Ne parliamo da anni, ma non riusciamo a superarla.
Il sistema sanitario italiano è a un bivio. Senza i giusti interventi, non certo semplici da individuare data la complessità delle questioni sanitarie, il rischio che ne consegue è un aumento delle già profonde divaricazioni presenti nella nostra società. Una riforma sistemica rappresenta quindi l’unica via per garantire un’assistenza equa ed efficiente, preservando la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.
Occorre scrutare il futuro, continuando a costruirlo sulle basi solide indicate da Agostino Gemelli in un celebre articolo (Vita e Pensiero, 1958) in cui, pionieristicamente, proponeva un modo originale di interpretare la missione del medico, sollecitando a non considerare il malato un numero, bensì una persona. A tal fine servono istituzioni sanitarie centrate sulla persona nella sua interezza, con le sue fragilità, ma anche con le sue enormi potenzialità di fare il bene per gli altri. Una missione basata anche su una ricerca di frontiera, sempre consapevole del mistero della vita, condotta in stretta sinergia con il sistema universitario.
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