il ruolo cruciale dell’Italia e le sfide future del Circus
Dopo essere uscito dal calendario nel 2006, il GP di Imola è rinato dalle ceneri di una stagione di Formula 1 2020 falcidiata dal Covid-19 ed eurocentrica per necessità logistiche. La scelta di correre nella Motor Valley italiana, centro nevralgico della storia stessa della Formula 1, era stato il segnale che il più ricco Circus del mondo (ricavi 2024 pari a 3,4 miliardi di dollari) per mantenere il proprio fascino ha bisogno di restare ancorato alle sue radici passate oltre a lanciarsi verso il futuro dirompente di città quali Miami, Singapore e Las Vegas. Tuttavia, superata la crisi pandemica, Imola fatica a conquistare un posto nel calendario e dopo il rinnovo di Monza fino al 2031, non sono emerse voci positive sul rinnovo oltre l’edizione attuale.
C’è futuro per i Gran Premi storici?
La Formula 1 sta attraversando un periodo di crescita, con una forte penetrazione nella popolazione più giovane e in paesi emergenti o che in passato non erano attratti da questo formato di gare, come gli Stati Uniti. La crescita di interesse in terra americana è stata sostenuta da Liberty Media con l’introduzione nel programma annuale di altre due gare statunitensi (Miami e Las Vegas), oltre alla più tradizionale gara di Austin sul Circuits of the Americas (COTA). Le due nuove città scelte vanno incontro agli obiettivi di un’azienda americana che vuole trasformare in eventi glamour, e lo sta facendo con successo, una competizione sportiva legata allo sviluppo della tecnica e al coraggio dei piloti. Eventi in cui le partenze si guardano con un calice di champagne in mano, o non si guardano nemmeno, stando beatamente a galla in una piscina all’interno del circuito (si veda l’ultimo Gran Premio di Miami, per l’appunto).
È normale che uno sport in cui gareggiano quasi solo case automobilistiche di lusso finisca per attrarre un pubblico elitario. L’Italia, però, si è sempre distinta da questa tendenza, con una passione per la Formula 1 – e soprattutto per la Ferrari – che supera gli steccati sociali. Un grande esempio sono i numeri legati allo share televisivo degli anni dei grandi successi di Michael Schumacher, con un incredibile 72,8% di share per il Gran Premio di Monza del 2000, vinto proprio dal pilota tedesco. Questi numeri si sono ridotti nel tempo, complici le difficoltà sportive del Cavallino Rampante, ma soprattutto l’acquisto dei diritti da parte delle Pay TV, che offrono un prodotto di altissima qualità ma richiedono un prezzo che limita la popolarità del prodotto Formula 1.
Sebbene la passione per la Formula 1 in Italia sembri accendersi in funzione della probabilità di un successo della Ferrari, non si può negare la forte componente italiana nel DNA della principale competizione automobilistica mondiale. Di seguito alcuni esempi dell’importanza delle aziende italiane nello sviluppo tecnologico della Formula 1, per rimarcare come la passione italiana per i motori sportivi sia da valorizzare e la presenza di due gran premi italiani in un campionato globale non sia un’incongruenza, ma la testimonianza del contributo che il nostro paese ha verso questo sport.
Le aziende italiane in Formula 1
Innanzitutto, due dei dieci team sono italiani: Scuderia Ferrari e Racing Bulls F1 Team (ex Minardi, con sede a Faenza). Poi come è risaputo, il fornitore unico degli pneumatici dal 2011 è la milanese Pirelli, con contratto fino almeno il 2027. Tra le più importanti aziende partner emerge sicuramente Brembo. L’azienda bergamasca progetta e produce materiale idraulico (pinze, pompe e unità by-wire) e componenti di attrito (dischi e pastiglie in carbonio) per la maggior parte delle monoposto e fornisce gli impianti frenanti a tutte le scuderie del Circus. Dei dieci team di Formula 1, ben sei si affidano per le tute ignifughe ed ultraleggere di piloti e meccanici ad aziende specializzate italiane (Alpinestars, OMP e Sparco).
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