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Il ritorno al suo popolo del vescovo di Roma

Nella traslazione del corpo di Papa Francesco a Santa Maria Maggiore, sotto la protezione di Maria «salus populi romani», si è compiuto il ritorno del Romano Pontefice, vescovo di Roma, al suo popolo che l’aveva salutato sabato 26 aprile in piazza San Pietro, più imponente e saldo che non i governanti che pure si sono inchinati all’ultimo simbolo universale che la Terra possegga.

Il Papa stesso, quale vescovo solerte, ha visitato innumerevoli parrocchie dell’Urbe, in specie le più disagiate (come testimonia il libro di Giovanni Tridente, Pellegrino di periferia: le visite di Papa Francesco alle parrocchie romane, 2019). Solo papa Wojtyła, nel suo lungo pontificato, ha visitato o ricevuto più di 300 parrocchie della diocesi, quasi tutte quelle di Roma.

Il Conclave non eleggerà il moderatore di correnti politiche, né un sovrano del globo, né il federatore di chiese nazionali, né il cerimoniere di una lingua vetusta, ma il vescovo di Roma, un pastore dunque che dovrà essere dotato, come scriveva nel XII secolo Ruperto di Deutz, di «un fortissimo zelo per la parola del Signore» che trasfiguri il suo volto come quello di Elia (De victoria verbi Dei), poiché la parola del Signore, l’Annuncio, ha preceduto la sua Chiesa e continuerà a precederla sino «ai confini della terra», rinnovando quella primizia che nella Natività hanno proclamato gli angeli ai pastori, poiché la Buona Novella fa discendere la «pace a tutti gli uomini di buona volontà», all’umanità intera in cerca di se stessa.

Infatti, nella Lettera enciclica Fratelli tutti (3.10.2920) sottolineava: «Abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune». Ora questa “casa comune” non nasce certo dalle lingue, nella loro babelica finitudine, né dalla pluralità delle credenze, dei costumi, delle tradizioni del consorzio umano, bensì proprio dall’universale anelito alla pace, così bene descritto da sant’Agostino nel De Civitate Dei da ammettere che persino la città celeste è arricchita dalla pace terrena: « Dunque anche la città del cielo in questo suo esilio trae profitto dalla pace terrena, tutela e desidera […] l’accordo degli umani interessi nell’ambito dei beni spettanti alla natura degli uomini» (XIX, 17).

La pace, agostinianamente, è il vero segnacolo della fraternità.


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