Economia

Il risveglio della difesa europea: un delicato equilibrio ad alto rischio

* Catherine De Vries è presidente dell’Institute for European Policymaking dell’Università Bocconi; Stephanie Hofmann è professoressa all’EUI e fellow dell’Institute for European Policymaking dell’Università Bocconi

Come organizzare la sicurezza dell’Europa è diventato un tema centrale per i leader del continente. Nelle ultime settimane, vertici improvvisati a Londra e Bruxelles hanno prodotto nuovi impegni per aumentare la spesa militare, garantire un sostegno all’Ucraina e puntare con decisione sulla prontezza operativa delle forze armate.

Tuttavia, in questa frenesia di riallineamenti strategici, un aspetto cruciale rischia di passare in secondo piano: il mantenimento del sostegno popolare a queste politiche. Senza di esso, le nuove ambizioni di difesa europee rischiano di rivelarsi fragili.

Riarmarsi costa, e i cittadini non devono soltanto comprenderne le ragioni, ma anche accettare i sacrifici finanziari che comporta.

Se non verranno gestite adeguatamente, le aspettative dell’opinione pubblica potrebbero favorire i populismi di destra, destabilizzando la sicurezza europea proprio come l’amministrazione Trump ha messo in crisi l’impegno strategico degli Stati Uniti.

Se i padri fondatori dell’Europa avessero avuto successo, il continente avrebbe potuto dotarsi di un quadro comune di difesa già negli anni Cinquanta. Ma la Comunità Europea di Difesa, pur firmata da Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo, naufragò a causa di una svolta nella politica interna francese, che ne sancì la bocciatura parlamentare.

Nei decenni successivi, altri tentativi di unificare le politiche di difesa europee si arenarono, in gran parte per il timore di indebolire le garanzie di sicurezza transatlantiche della NATO. L’integrazione europea si concentrò così sulla cooperazione economica, mentre l’UE veniva celebrata più come progetto di pace che come alleanza militare.

Oggi, però, una Russia sempre più aggressiva a est e gli Stati Uniti, “a ovest”, spesso imprevedibili o ostili, impongono una nuova riflessione strategica. I leader europei stanno ridefinendo il ruolo dell’UE, rafforzando non solo il sostegno a Kiev, ma compiendo passi decisi verso una maggiore autonomia nella difesa.

Questi mutamenti rappresentano una netta rottura rispetto ai progressi graduali registrati dopo la Guerra Fredda. È in atto una vera e propria “Zeitenwende” europea – un punto di svolta nella politica di difesa. Se prima l’acquisto congiunto di armamenti era un timido passo avanti, oggi il tema del finanziamento della difesa in Europa è al centro del dibattito, con la Commissione Europea divenuta protagonista di iniziative in materia di sicurezza.

Man mano che l’UE si affranca dal tradizionale ombrello della NATO, le implicazioni politiche si fanno più serie. I costi per il riarmo e la preparazione militare peseranno direttamente sugli elettori europei, che in passato hanno sempre privilegiato il welfare rispetto alle spese per la difesa.

La normalizzazione della guerra nel discorso pubblico sta obbligando a rivedere lo Stato sociale europeo: un equilibrio delicato, da cui dipende la sostenibilità a lungo termine dei bilanci militari.

Un’opinione pubblica in trasformazione

Per realizzare questa strategia, i leader europei dovranno assicurarsi un sostegno popolare di lungo periodo alle iniziative di difesa e agli aiuti all’Ucraina. Ma i sondaggi più recenti indicano un calo di consenso.

Un sondaggio di Eurobarometro della fine del 2023 mostra che, se l’89% degli europei appoggia gli aiuti umanitari alle vittime del conflitto e l’84% è favorevole ad accogliere i profughi, solo il 72% sostiene il sostegno finanziario a Kiev. La percentuale scende al 60% per l’assistenza militare, mentre l’adesione dell’Ucraina all’UE è sostenuta solo dal 61% degli intervistati, un dato preoccupante se si considera il rilevante investimento politico per avvicinare Kiev all’Europa.

Oltre alle cifre statiche, le tendenze generali sono ancora più indicative. I sondaggi “eupinions” della Bertelsmann Stiftung, che monitorano il sentiment degli europei sul sostegno militare, le politiche sui rifugiati, la cooperazione in materia di difesa e la candidatura dell’Ucraina all’UE dal marzo 2022, mostrano un’erosione lenta ma costante dei consensi.

La Polonia è rimasta la più convinta sostenitrice degli aiuti militari a Kiev, ma il supporto è passato dall’84% del marzo 2022 al 71% della fine del 2024. L’Italia si conferma la più scettica. A livello UE, il sostegno alle forniture di armi è sceso al 51%.

Sul fronte dei rifugiati, la Spagna si distingueva inizialmente per l’appoggio più solido, ma i consensi sono scivolati dal 93% di inizio 2022 al 75% di fine 2024. In Germania, il calo è stato ancora più drastico: dall’86% al 58%, la flessione maggiore nell’Unione. Entro la fine del 2024, la media UE si è attestata al 64% di pareri favorevoli all’accoglienza di rifugiati ucraini, ma la tendenza resta negativa.

Anche l’entusiasmo per un rafforzamento della cooperazione militare europea inizia a vacillare: in Spagna si è passati dal 92% di inizio 2022 all’83% di fine 2024, mentre in Francia si è scesi dall’87% al 71%. Alla fine del 2024, il 78% degli europei continua a sostenere la necessità di un’ulteriore integrazione in materia di difesa, ma le prime crepe nell’unità si fanno sentire.

Un sondaggio del Consiglio Europeo per le Relazioni Estere (ECFR) di metà 2024 conferma queste dinamiche: in Francia e in Italia, la maggioranza si oppone all’aumento della spesa militare se dovesse penalizzare la sanità e l’istruzione. In Germania, oltre la metà degli intervistati guarda con scetticismo all’ingresso di Kiev nell’UE, citando problemi di corruzione, rischi per la sicurezza e possibili oneri finanziari.

Le incognite del futuro

Per i leader europei, la sfida è evidente: un piano di sicurezza credibile e duraturo richiede un impegno costante nel persuadere l’opinione pubblica. Serve una narrazione convincente che illustri la gravità della situazione geopolitica e i sacrifici necessari per affrontarla. Senza una discussione trasparente su costi e vantaggi, le ambizioni europee in materia di difesa potrebbero naufragare di fronte alle urne.

L’imprevedibilità della politica statunitense aggiunge un ulteriore elemento di incertezza. Una svolta improvvisa di Donald Trump, che ha trascorso anni a mettere in discussione la NATO, potrebbe causare nuove scosse nei piani di difesa del Vecchio Continente. Per il momento, l’alleanza atlantica regge, ma appare sempre più marginalizzata.

Senza garanzie solide da Washington, l’ordine di sicurezza transatlantico continuerà a mutare. Il flusso di armi statunitensi verso gli alleati europei, un tempo quasi scontato, non è più assicurato, e l’UE si prepara a sostenersi con la propria industria della difesa. Nei prossimi anni, produttori europei e americani potrebbero competere duramente sui mercati globali, cambiando gli equilibri del comparto in maniera irreversibile.

Gli elettori europei dovranno porsi una domanda cruciale: quanto bisogna spendere per sentirsi al sicuro? Mentre il continente si trova a un bivio, leader e cittadini devono decidere se sono disposti ad assumersi i costi di un’Europa più autonoma nella difesa o se preferiscono subire passivamente gli sviluppi imposti da altri.


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