Salute

‘Il richiamo della montagna’ di Matteo Righetto: una rieducazione selvatica contro il climate change

Quando ero bambino, un giorno i miei mi portarono in un luogo del Cebano Monregalese che si chiamava San Grato, dal nome di una chiesetta. Quel luogo lo ricordo ancora oggi con emozione: ero letteralmente circondato da farfalle, che i miei occhi di bimbo guardavano stupefatti. Oggi non ci sono più le farfalle e quel San Grato non esiste più: al suo posto esiste Viola St. Gréé, una stazione sciistica sorta dove solo una mente malata poteva concepirla. E infatti Viola St Gréé oggi è il classico santuario nel deserto, anche se il termine santuario è blasfemo alla vista dei condomini e degli impianti.

Mi è venuto a galla questo ricordo e tanti altri del mio passato di frequentatore della montagna leggendo l’ultimo saggio di Matteo Righetto Il richiamo della montagna (che ricorda forse non a caso “Il richiamo della foresta”), dove lui parla anche di quella montagna che era e non è più (la strage di abeti causata dalla tempesta Vaia), o di quella che è ancora e non sarà più (il ghiacciaio della Marmolada si sta sciogliendo con effetti difficilmente immaginabili per il futuro). Solo due esempi, ma potenti, sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, già avvertibili qui e ora, nell’arco delle nostre brevi vite. Ma l’autore non si limita a descrivere questi fatti (quasi in forma romanzata, il primo), ma va ben al di là, domandandosi cosa ciascuno di noi (che non abbiamo in mano le leve del potere) può fare nel suo piccolo per invertire questa tendenza di sviluppo insensato che porta con sé il cambiamento climatico, certamente, ma porta con sé anche l’esaurimento delle risorse, che porta con sé anche l’estinzione di altre specie viventi, animali e vegetali.

Ebbene, per Righetto occorre agire, non lasciarsi catturare dallo sconforto, ma agire nel senso di recuperare in noi quello spirito selvatico che ci unisce alla Natura che ci circonda. E quello spirito lo si può ritrovare proprio su quella montagna che Righetto ama e frequenta. Camminare in montagna, dunque: “Abbiamo bisogno di ascoltare il richiamo della Montagna, ci salveremo solo se saremo capaci di intraprendere una rieducazione selvatica.” E questo è tutt’altro che impossibile, visto che, come lui ci ricorda: “l’animismo ha riguardato il 99% della storia dell’uomo… (animismo che) abbiamo dimenticato e calpestato coi mezzi della religione clericalizzata e dell’economia nel corso del recente 1% della nostra esistenza sulla Terra”. Ed è qui che Righetto ci parla con la passione di chi crede fermamente nelle parole che mette per iscritto, e qui sta l’anima e la bellezza e l’importanza della sua opera, che richiama nel contenuto anche grandi del passato, come Mario Rigoni Stern, e, prima di lui, Muir, Thoreau, Leopold.

Concludo con una nota di invidia: Righetto ha visto una lupa. Io, in tanti anni di frequentazione della montagna, mai. Mi sono accontentato di raccogliere e conservare una cacca solidificata! Ps. mentre scrivo questo pezzo è il 20 febbraio e a Torino ci sono 14 gradi. Ricordo quando da piccolo a Savona scrivevo una poesia sulla neve che scendeva “candida e lieve” dal cielo.


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